Stanno per cominciare gli anni Venti del XXI secolo. Inizieranno davvero? Nonostante il calendario, non è qualcosa di automatico. Nel lontano 1956, James Baldwin, l’attivista provocatore e per molti versi geniale scrittore americano (che ha riacquistato una certa importanza con il documentario I am not your negro), diede vita a una suggestiva controversia con William Faulkner. Nel 1954 la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva emesso la sua storica sentenza contro la segregazione nelle scuole. Faulkner, che riconobbe l’enorme ingiustizia della separazione, sostenne la necessità di “andarci piano” nello smantellarla. In un vibrante articolo (intitolato “Faulkner and desegregation”) Baldwin gli rispose scrivendo una delle sue migliori pagine facendo riferimento al significato della parola cambiamento e alle reazioni che provoca. Ogni vero cambiamento, scrisse, implica la rottura del mondo così come l’abbiamo sempre conosciuto, la perdita di tutto ciò che ci ha offerto un’identità, la fine della sicurezza. In quel momento, incapaci di vedere e non osando immaginare cosa ci porterà il futuro, ci aggrappiamo a ciò che già sapevamo o pensavamo di sapere, a ciò che avevamo o sognavamo di possedere.
La descrizione dello smarrimento e dell’insicurezza causati dal cambiamento che Baldwin fa è totalmente applicabile alle reazioni che vediamo di fronte alla globalizzazione, di fronte alla crisi delle fondamenta della cultura e della democrazia occidentali che credevamo di conoscere. L’inflazione di soluzioni identitarie e sovraniste del 2019 che ci lasciamo alle spalle ha molto a che fare con l’aggrapparsi a ciò che sognavamo di possedere. Ma questa risposta, afferma Baldwin, è una forma di schiavitù. Solo quando un uomo, sottolinea, è in grado di abbandonare, senza amarezza o autocommiserazione, un sogno che ha accarezzato per lungo tempo, o un privilegio da molto posseduto, allora è libero, si è liberato, così da concepire sogni più alti, per ottenere maggiori privilegi. La liberazione, indica con precisione il newyorkese, non è mantenere ciò che è stato conquistato o posseduto, ma il nuovo, che consente di raggiungere un nuovo possesso. Nel suo caso la mescolanza tra bianchi e neri. E Baldwin conclude dicendo che tutti gli uomini sono passati e passano attraverso questo processo, ciascuno secondo la sua categoria, lungo l’arco della loro vita. Non è solo un processo storico, è un processo personale. O meglio, dato che è un processo personale è un processo storico.
A giudicare da tutto quel che è stato scritto in questi giorni, dai bilanci dell’anno che si chiude alle previsioni sul prossimo, non arriviamo a concepire sogni più alti. C’è un’epoca che da 20 o 30 anni ci sta salutando e noi continuiamo ad aggrapparci a essa con amarezza e autocompiacimento. Lo evidenzia l’editorialista di The Atlantic Amanda Mull nel suo articolo “The 2000s Never Ended”: gli anni ’50 erano stati quelli della prosperità dopo la guerra; gli anni ’60 quelli della lotta per i diritti civili, per la controcultura; gli anni ’80 quelli della fine del comunismo in Europa, “ma il 2010 è il decennio che non è mai iniziato”. Mull sostiene che il tempo si è fermato negli Stati Uniti dopo l’attentato alle Torri Gemelle. Anche la crisi del 2008 e le soluzioni adottate fanno parte del mondo di 20 anni fa. È provocatoria l’ipotesi che esista un filo che unisce nella polarizzazione le presidenze di Bush, Obama e Trump. Gli opposti sarebbero il volto della stessa medaglia, mentre la xenofobia e il rifiuto dello straniero sarebbero rimasti costanti durante questo periodo, nel quale in campo tecnologico e culturale non è stato fatto nulla se non sviluppare quella che è stata la nascita dei social network.
Indipendentemente dal fatto che siano nati o meno i “’10 del XXI secolo”, è certo che buona parte dei processi politici che vediamo hanno a che fare con la mancanza di disponibilità ad abbandonare “un sogno a lungo accarezzato”. Nel 2020 la Brexit si realizzerà nel nome di quello che i britannici sono sempre stati, prevedibilmente l’Italia voterà massicciamente coloro che promettono di mantenere la vecchia identità, la Spagna avrà un Governo impossibile perché la sinistra non vuole entrare in un mondo sconosciuto con un accordo con la destra, la Russia continuerà a estendere la sua influenza sul Medio Oriente (dopo la Siria ora arriva la Libia) perché Putin promette di mantenere un’influenza come quella sovietica o quella zarista, l’India di Modi ha osato emanare una legge chiaramente segregazionista contro l’immigrazione musulmana agendo in nome della purezza hindi, la Cina può portare avanti il suo piano di espansione globale perché il nazionalismo comunista parla in nome dell’orgoglio dell’Impero del Centro perduto cento anni fa. E alle elezioni statunitensi di novembre assisteremo a una campagna in cui trumpismo e anti-trumpismo si affronteranno nei termini generati dallo scontro iniziato nel 2001.
La storia non è automaticamente lineare, può essere, a causa della resistenza della libertà al nuovo, circolare. In effetti, il 2020 potrebbe assomigliare molto al 1820. Da quella data nel XIX secolo sorse un ambiente culturale dominato dal malessere e da un nichilismo che in alcune occasioni divenne violento. Dopo le invasioni napoleoniche di duecento anni fa, ad esempio tra i giovani nazionalisti crebbe l’esaltazione della Kultur, fiorirono nuove ideologie e la strumentalizzazione della religione che volevano incanalare il risentimento e che produssero risentimento. Il cambiamento, il progresso, dipendono dalla capacità di aprirsi a ciò che Baldwin chiamava maggiori privilegi. Resta da vedere se iniziano i ’20.