Il Comune di Milano taglia le tasse. È una buona notizia: concreta per 50mila milanesi, quelli che finora non erano esenti dall’addizionale comunale Irpef. Ora, con l’innalzamento della soglia di esenzione da 21mila a 23mila euro di imponibile annuo, i contribuenti residenti beneficiari saliranno da 515 a 565mila sul milione circa di milanesi soggetti d’imposta.
I 15 milioni circa di minor incasso per l’amministrazione, hanno detto il sindaco Beppe Sala e l’assessore al Bilancio Roberto Tasca, saranno compensati dagli effetti della ristrutturazione del debito, dal controllo delle spese e da maggiori entrate non preventivate. Tutte buone notizie di per sé. Premesse fondamentali per ogni manovra di bilancio – sia messa in atto da un Comune come dallo Stato centrale – sono l’efficienza amministrativa, la sostenibilità del debito e la ricerca di extra-gettiti consentiti da una buona salute patrimoniale oppure dotati di senso politico-economico (lo è l’aumento della tassa di soggiorno per una metropoli sempre più lanciata nelle orbite dell’attrattività turistica internazionale).
Nel budget 2020 di Palazzo Marino spicca anche l’accelerazione sull’introduzione del biglietto Atm a 1 euro per corse brevi, dopo il dibattuto aumento del biglietto standard a 2 euro, peraltro legato anche agli importanti finanziamenti per lo sviluppo della rete. Nei 3,2 miliardi di entrate correnti bilancio del Comune di Milano (di cui mezzo miliardo da trasferimenti statali e regionali) c’è anche il contributo di una lotta all’evasione che la giunta Sala ha condotto nella sua fase iniziale in chiave di “tolleranza zero” (tanto da sollevare critiche raccolte anche dal Sussidiario). In parallelo nei conti del Comune continuano ad affluire gli incassi di altri tributi politicamente sensibili: quelli di autovelox più numerosi e inflessibili e di Ztl sempre più ampie. Questo – ha sempre sostenuto palazzo Marino – non per tamponare esigenze di cassa a breve, ma con un approccio di medio periodo legato alla qualità ambientale e alla sicurezza di tutti i “fruitori” di una metropoli che viene dall’Expo 2015 e va verso le Olimpiadi invernali 2026.
Sul Sussidiario sono stati via via registrati gli aspetti più squisitamente politici delle mosse dell’amministrazione Sala. Ultimamente, per esempio, è stata segnalata la potenziale centralità del “laboratorio Milano” nel possibile sviluppo politico dei movimentismi green visibili anche nella società italiana: dove però, al momento, non esiste alcun “contenitore” paragonabile ai Grunen austriaci (oggi sul punto di formare un’inedita coalizione di governo con il premier popolar-conservatore Sebastian Kurz) o tedeschi, sempre più candidati a sostituire la Spd in una coalizione con Cdu-Csu nel dopo-Merkel, forse già nell’anno che inizia oggi.
In attesa di osservare gli sviluppi, è naturale confrontare la “manovra Sala” con la “manovra Conte-2”: quella appena varata da un governo nato anche per impedire una nuova “manovra Conte-1”, compromissoria fra una “manovra Di Maio” e una “manovra Salvini”. È oggettivo osservare, una volta di più, che il Comune di Milano taglia le tasse (in sé il mantra della Lega e in precedenza di Silvio Berlusconi), mentre il Governo giallorosso ha finito sostanzialmente per aumentarle. Milano si sforza di allentare la pressione fiscale selettivamente sulle famiglie a reddito più basso, in una fase di sofferenza socio-economica diffusa anche al Nord. L’obiettivo non è diverso da quello perseguito dal “reddito di cittadinanza”, ma la strumentazione è molto diversa. È lontana dall’elargizione di molte centinaia di euro al mese per cassa: alla fine tecnicamente e sociopoliticamente problematica, anche perché elettoralmente orientata al Sud, cioè lontano dalle aree più soggette al “prelievo fiscale solidale” (a proposito: la “manovra Sala” – a regole date – guarda implicitamente allo sviluppo delle autonomie, avversato dal Conte-2).
Trenta euro all’anno in meno di tasse – in parte simbolici, ma stiamo pur sempre parlando di imposte comunali per centinaia di migliaia di cittadini – sembrano invece più parenti degli 80 euro al mese introdotti per sgravio fiscale da Matteo Renzi all’inizio della sua premiership. Quella manovra aveva un obiettivo ambizioso e trasparente: stimolare la ripresa attraverso la domanda delle famiglie, tendenzialmente orientata al consumo. Non ha avuto il successo sperato: anche se questo non significa affatto che si sia trattato di un errore di politica economica. È stata certamente una decisione “ortodossa” da parte di un Governo espresso dal centro-sinistra europeo classico: peraltro duramente sconfitto nelle recenti elezioni britanniche e in crisi strutturale sia in Francia che in Germania.
Analogamente, il “taglio delle tasse” sembra appartenere alla cultura politica di ciò che viene definita tuttora “di destra”. È stato del resto votato dagli elettori repubblicani Donald Trump, che a metà mandato ha varato una classica riforma fiscale orientata all’alleggerimento per i redditi più alti: che negli Stati Uniti sono assimilati – nella realtà prima che nel linguaggio della politica – ai businessmen, alle imprese. Anche il presidente francese Emmanuel Macron si è mosso nella stessa direzione: ed è anche per questo che è da più di un anno sotto l’assedio pesante dei gilet jaunes.
Matteo Salvini ha avuto in fondo buon gioco – dopo la crisi di governo estiva – a evitare per ora di avanzare una sua declinazione di “taglio delle tasse”: che non ha mai qualificato, almeno finora, né per la selettività verso le imprese, né per la ricerca di compatibilità effettive sul fronte del deficit (spending review) e del debito pubblico. Sul secondo fronte, la “manovra Conte-2” ha gravemente mancato di rispondere, ma era stato così anche il Conte-1, con Salvini e Di Maio vicepremier. Sul primo versante – lo stimolo alle imprese, perché investano generando innovazione, occupazione, competitività internazionale e futuro gettito fiscale – l’Azienda-Italia è invece ancorata al piano “Industria 4.0”: opera più del ministro Carlo Calenda che del premier Renzi; e freddamente prorogata per due volte dal Mise a guida M5S.
Il vero confronto fra “sinistra” e “destra” – chiunque sarà a presentarsi sotto questi nomi alle prossime elezioni politiche – sarà su questo: sugli obiettivi e sui modi del “taglio delle tasse”. E il sindaco di Milano – muovendo le leve fiscali a sua disposizione oggi, nel suo posizionamento politico di oggi – sembra averlo compreso perfettamente.