Il prefetto di Cosenza, Paola Galeone, è stata posta agli arresti domiciliari nella sua casa di Taranto dopo che, tra Natale e Capodanno era stata al centro di una veloce indagine della Polizia di Stato e scoperta mentre intascava 700 euro da un’imprenditrice. La decisione è stata adottata dal Gip di Cosenza su richiesta della locale procura. Al prefetto, dopo che nei giorni scorsi si era parlato di corruzione, è stato invece contestato il reato di “induzione indebita a dare o promettere utilità”. Il provvedimento è scaturito dalla denuncia dell’imprenditrice a cui Galeone avrebbe chiesto una fattura per operazioni inesistenti.
L’obiettivo sarebbe stato quello di appropriarsi di una quota delle spese di rappresentanza che il ministero dell’Interno autorizza ai suoi rappresentanti territoriali. A Cosenza erano rimasti circa un migliaio di euro, che la prefettura avrebbe dovuto restituire al Viminale e che Galeone avrebbe invece deciso di incassare personalmente. A tal fine avrebbe proposto all’imprenditrice Cinzia Falcone, titolare di una scuola di inglese, referente di un centro di accoglienza per migranti e presidente dell’associazione di sostegno alle donne Animed, di emettere una falsa fattura.
Galeone ha indicato anche la cifra, 1.220 euro, poco di più di quanto rimasto nel fondo a disposizione della prefettura, “per non destare sospetti”. Ma Falcone ha solo finto di accettare la sua proposta e il 23 dicembre si è presentata in Questura per denunciare tutto. Subito sono partite le indagini. Le utenze del prefetto sono finite sotto controllo, mentre gli investigatori della Mobile organizzavano insieme all’imprenditrice lo scambio in modo da poter documentare tutto.
Con un messaggio concordato con gli agenti, Falcone ha fatto sapere al prefetto di aver predisposto la fattura, ottenendo quella che per inquirenti e investigatori è non solo una prova schiacciante, ma anche un allarmante spunto d’indagine “Hai tutta la mia stima – le ha risposto il prefetto –. Vedrai, insieme faremo grandi cose”.
Per la consegna del denaro, l’appuntamento è stato fissato in un bar del centro città. Ma le banconote poste nella busta destinata a Galeone sono state preventivamente fotocopiate dagli agenti della questura; l’imprenditrice si è inoltre presentata all’appuntamento concordato con un microfono addosso registrando l’intera conversazione, mentre le telecamere piazzate dalla Mobile registravano ogni momento dello scambio. Il tutto è durato non più di qualche minuto, poi Galeone è uscita dal bar. A bloccarla ci hanno pensato gli investigatori che nella borsa della donna hanno trovato la busta con le banconote.
Al di là di quella che sarà l’effettiva qualificazione giuridica del reato, la vicenda ha suscitato molto clamore anche per la relativa esiguità della somma a fronte della gravità dei fatti, accendendo la fantasia popolare e le ipotesi sulle cause della spasmodica ricerca di denaro. Anche per questo le indagini continuano. Il sospetto è che non si sia trattato di un singolo episodio e che anche altri imprenditori abbiano nel tempo ricevuto (e accettato) la medesima richiesta. La polizia sta passando al setaccio tutte le spese vincolate al fondo di rappresentanza o personalmente autorizzate dal prefetto Galeone. La dirigente, in aspettativa dal giorno in cui è stata smascherata, è stata ora sospesa dal Viminale.
Cinzia Falcone, l’imprenditrice che ha denunciato il prefetto, sarebbe stata in rapporti con l’Ufficio territoriale del Governo di Cosenza per le sue attività in campo sociale, tra cui la gestione di un centro migranti a Camigliatello Silano che era stato oggetto di un’operazione giudiziaria (sei arresti e altri otto provvedimenti cautelari ed attualmente gestito da Falcone). E sarebbe stato proprio in occasione di una riunione, secondo l’ipotesi accusatoria, che la Falcone avrebbe ricevuto da Galeone la proposta di emettere la fattura fittizia. Per tale accordo, 700 euro sarebbero andati al prefetto Galeone, 500 all’imprenditrice. Questa, particolarmente colpita dalla proposta di Galeone, si sarebbe recata in Questura per denunciare l’accaduto. Da qui è scattata un’informativa alla Procura e la conseguente inchiesta che ha portato all’arresto del prefetto.