Chiusa la lunga parentesi delle ferie natalizie, la campagna elettorale per le elezioni in Emilia-Romagna entra nel vivo e i toni si stanno alzando, complici anche gli ultimi sondaggi, che danno Bonaccini in calo di circa 2 punti percentuali e una tenuta della Borgonzoni, per cui si prefigura una vittoria al fotofinish: per la prima volta, nella storia delle istituzioni regionali, la regione diventa veramente contendibile.
Questo fa sì che sempre più frequentemente, oltre ai tradizionali temi amministrativi, come la sanità, l’occupazione, l’ambiente, i servizi sociali, e a quelli più squisitamente politici legati agli effetti che il voto regionale potrà avere sugli assetti nazionali e sulla sopravvivenza o meno del governicchio Conte, si affacci, nel dibattito fra i due schieramenti, il tema della libertà. Sì, proprio della libertà, che parrebbe essere una questione non all’ordine del giorno: ma in Emilia-Romagna non è così. Perché?
Chi non vive in questa regione, spesso presentata come una sorta di oasi felice, in cui tutto (o quasi) funziona, non si rende conto che fra i cittadini-elettori c’è una divisione profonda, che sta manifestandosi oggi ancora più esplicitamente, proprio perché per la prima volta si percepisce che l’esito del voto non è scontato a priori.
Da una parte, chi ritiene di vivere nella realtà meglio governata d’Italia, si riconosce totalmente nel mainstream da sempre dominante e sente la possibilità di un cambiamento politico come una sorta di invasione da parte di “forestieri” che non hanno diritto di calcare il sacro suolo emiliano: da questo punto di vista, la realtà più emblematica è quella delle Sardine, che non a caso sono nate in questo momento e si radunano con gli slogan: “Il centrodestra non ha diritto di parlare e di essere ascoltato” e “Non abbiamo bisogno di essere liberati”, cantando Bella Ciao per evocare la resistenza contro lo straniero invasore.
Dall’altra, chi da sempre vede i comunisti, nelle varie versioni in cui si sono presentati, come custodi e difensori di un regime asfissiante, per la sua caratteristica di essere totalmente pervasivo degli spazi politici e sociali. Dal dopoguerra a oggi la sinistra egemone ha creato un sistema, fatto di relazioni e condizionamenti, cui non sfuggono agenzie culturali, rappresentanze sindacali e imprenditoriali, banche, imprese cooperative, vere o false, parti della magistratura, mezzi di comunicazione.
Con la crisi del vecchio Pci, di cui l’attuale Pd è una brutta copia, incapace del controllo sociale in cui quel partito era maestro, la funzione di regia di questo complesso sistema è stata assunta di fatto dalle istituzioni pubbliche, in primis la Regione. Per questa parte della società, quindi, il 26 gennaio viene visto come un possibile 25 aprile, come la possibile liberazione da questo sistema di potere: di qui lo slogan, ripetuto spesso nei comizi della Borgonzoni e di Salvini: “Liberiamo l’Emilia-Romagna”.
Una interessante conseguenza derivante da questa situazione è che ancora oggi è abbastanza diffusa la paura di schierarsi apertamente contro il sistema di potere dominante o anche di esplicitare la propria visione politica contraria ad esso: di qui deriva la non infrequente inattendibilità dei sondaggi, che spesso rilevano dati sottostimati per i partiti cosiddetti di opposizione.
Finora Bonaccini ha tenuto alla larga dalla “sua” terra i leader nazionali del partito, convinto probabilmente di avere tutto da perdere da una loro presenza, vista la situazione catastrofica in cui si trova il governo, sostenuto dal Pd, ma in questo ultimo scorcio di campagna elettorale i big stanno arrivando, probabilmente per compensare la totale scomparsa del simbolo del partito da tutti gli strumenti elettorali del candidato presidente; a Bonaccini interessa ovviamente un proprio successo personale e molto meno quello del partito, che probabilmente sarà danneggiato non poco dalla presenza della lista personale del presidente uscente.
In Emilia-Romagna, infatti, si stanno giocando contemporaneamente due partite: una, la più evidente, della sinistra contro il centrodestra, ma in particolare Salvini e la Lega; una tutta interna al Pd per la leadership nazionale: qualcuno ha letto in questa prospettiva la chiamata del sindaco di Milano Sala a fianco di Bonaccini, piuttosto che quella di Zingaretti, che in questi giorni ha mandato in Emilia il suo vice Orlando e si è anche auto-invitato, nonostante la freddezza ostentata da Bonaccini nei confronti del suo partito nazionale, forse perché, in caso di vittoria, non ricadesse sul presidente emiliano tutto il merito , da giocarsi sui tavoli romani.
Bonaccini ripete spesso, per criticare Salvini, che il 27 gennaio, mentre il Capitano sarà a Roma, lui siederà in ogni caso sugli scranni di Piazza Aldo Moro, ma non è detto che in cuor suo non faccia un pensierino anche a via Sant’Andrea delle Fratte.