Parole, parole, parole: così si intitolava una delle più celebri canzoni di Mina. Ed è proprio questa la sintesi delle iniziative politiche e diplomatiche tentate dall’Italia in relazione alla questione libica.
Come opportunamente sottolineava Thomas Hobbes nel Leviatano, i patti senza la spada sono solo parole e non hanno la forza di assicurare affatto un uomo. L’Italia ha ormai da tempo rinunciato all’uso efficace dello strumento militare, se non come strumento subalterno al dettato atlantico, ma incapace di utilizzarlo – ed è questo un paradosso – come strumento per salvaguardare i suoi interessi nazionali.
Mentre in Libia si sta attuando una spartizione tra la Turchia e la Russia – attraverso l’utilizzo di una logica di proiezione di potenza che ha obiettivi geopolitici chiari – l’Italia organizza incontri diplomatici e convegni (alludiamo a quella di Palermo del novembre 2018) privi di qualsiasi senso della dinamica conflittuale della realtà internazionale.
Osservando con attenzione il modus operandi che l’Italia ha posto in essere sulla questione libica dal 2018 ad oggi, è difficile non constatare come il nostro paese abbia dimostrato fino a questo momento di non avere obiettivi geopolitici chiari, di non saper valutare con estrema attenzione i numerosi player presenti su questo scacchiere e soprattutto ha dimostrato fino a questo momento di non essere disponibile a investire in modo significativo e rilevante risorse militari ed economiche necessarie per salvaguardare i suoi interessi (a cominciare da quelli petroliferi legati all’Eni).
Al contrario la Turchia ha obiettivi geopolitici chiari: da un lato, una politica di proiezione di potenza espansionistica in Siria, mentre in Libia, almeno allo stato attuale, ha come suo principale scopo quello di consolidare il suo dominio marittimo – di diventare cioè una potenza navale – e di appropriarsi delle risorse energetiche presenti nel Mare Nostrum. In quest’ottica devono essere viste le numerose infrastrutture navali costruite dalla Turchia. Non vi è proiezione di potenza, infatti, senza basi navali e/o terrestri.
Risulta del tutto ovvio quindi, da un punto vista strategico, che la Turchia per poter perseguire questi obiettivi a medio-lungo termine abbia necessità del sostegno politico, militare ed economico della Russia (vedi TurkStream) anche per svolgere una funzione di contenimento della presenza americana sul Mediterraneo, oltre che di contenimento verso la Grecia.