La scelta compiuta da Haftar e cioè il rifiuto, almeno allo stato attuale, di firmare l’accordo con Putin ed Erdogan e le condizioni poste da Haftar – permettere l’ingresso delle sue forze militari a Tripoli, il ritiro immediato di tutti i mercenari inviati dalla Turchia in Libia ed esclusione di Ankara dal monitoraggio del cessate il fuoco – possono essere dettate da alcune motivazioni politiche, fra le quali certamente un ruolo importante è giocato dalle finalità politiche che Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (Eau) intendono, tramite Haftar, attuare in Libia.
I rilevanti investimenti sotto il profilo militare che questi Stati hanno fatto verrebbero certamente vanificati se la spartizione della Libia non dovesse arrecare vantaggi consistenti alla varie anime salafite e radicali sostenute da Egitto, Arabia Saudita ed Eau sia sul piano geopolitico che religioso in funzione anche di contenimento nei confronti della Fratellanza musulmana, sostenuta da Turchia e Qatar. Non dimentichiamoci, a tale proposito, che dalla cacciata dell’ex presidente egiziano Mohamed Morsi, avvenuta il 3 luglio 2013, al Sisi ha attuato un’ampia e sistematica repressione contro la Fratellanza musulmana, dichiarata organizzazione terrorista nel dicembre 2013.
In questo senso è significativo il fatto che l’Egitto abbia chiuso l’Ufficio di corrispondenza turca dell’agenzia di stampa Anadolu al Cairo, secondo quanto riferito dal ministro degli Interni egiziano. Si tratta com’è ovvio di una ritorsione politica a seguito della crisi libica.
In questo scenario è ipotizzabile prevedere da un lato l’accelerazione delle operazioni militari da parte della Turchia – come indicato dallo stesso Erdogan – e dall’altra lato la ripresa delle operazioni da parte di Haftar. A tale proposito il presidente della Camera dei Rappresentanti di Tobruk, Aquila Saleh, ha affermato, nella sera del 14 gennaio, che il cessate il fuoco su Tripoli è da considerarsi terminato e che gli scontri nei dintorni della capitale continuano.
In particolare, il portavoce dell’operazione del governo di Tripoli, e cioè del Governo di accordo nazionale (Gna), Muhammed Kununu, ha riferito che ci sono stati attacchi missilistici condotti, il 14 gennaio, contro le regioni di Salah al–Din e Ramla, nel Sud della capitale, attacchi che sarebbero stati fatti dalle forze dell’Esercito nazionale libico (Lna), comandate dal generale Khalifa Haftar e che avrebbero colpito i quartieri residenziali di al Din e Ramla.
In secondo luogo Saleh ha affermato che il governo tripolino non è da considerarsi più legittimo ed ha invitato il Parlamento libico a ritirare il proprio riconoscimento, in quanto “il mandato del Consiglio presidenziale è terminato da molto tempo”. Il presidente ha inoltre sottolineato che le “milizie armate” di Haftar controllano, allo stato attuale, vaste aree della capitale e che presto libereranno anche Tripoli.
Alla luce di queste nuove informative è prevedibile il fallimento della Conferenza di Berlino prevista per il 19 gennaio che, nell’ipotesi migliore, non farà altro che legittimare quanto sancito dalla logica delle armi.
Per quanto riguarda l’Europa, questa ha dimostrato tutta la sua irrilevanza – soprattutto sia per le profonde divisioni interne, sia per l’assenza di una politica estera condivisa – tanto quanto l’Onu, a dimostrazione che una politica di proiezione di potenza avrà sempre il sopravvento sulle giaculatorie, come hanno insegnato Tucidide e Machiavelli.
Per quanto riguarda l’Italia, il nostro paese non è stato semplicemente emarginato ma, più realisticamente, tolto di mezzo dallo scacchiere libico come si fa con una mosca fastidiosa. L’eventuale ruolo che il nostro esercito potrebbe rivestire sarebbe infatti irrilevante ai fini della stabilizzazione della crisi libica.
La politica estera implica una logica che ha poco a che fare con quella degli studi legali.
D’altronde che il nostro paese ignorasse il suo interesse nazionale era facilmente desumibile dalla nostra partecipazione all’intervento militare del 2011, che portò alla morte di Gheddafi e cioè di colui che ha svolto un ruolo essenziale nella stabilità politica ed economica libica nonostante fosse stato sempre oggetto di odio profondo non solo da parte degli Usa – per avere promosso il terrorismo internazionale –, ma anche da parte della Francia di Giscard d’Estaing.