Nei giorni scorsi, a seguito delle dimissioni del ministro Fioramonti, si è insediato a Trastevere un nuovo ministro, Lucia Azzolina: il settimo dal 2011 (Profumo, Carrozza, Giannini, Fedeli, Bussetti, Fioramonti), anno del riordino della scuola superiore attuato dall’allora ministro Gelmini. Sembra un secolo, anche se sono passati solo poco più di otto anni.
A chi ama e vive, come me, la scuola, viene sempre la tentazione di cercare di dare un contributo al nuovo ministro all’avvio del nuovo mandato, in senso collaborativo con suggerimenti, indicazioni di modalità innovative, possibili strategie. Non lo farò per due motivi.
Primo, perché ripeterei per l’ennesima volta le stesse cose, evidenzierei gli stessi problemi, suggerirei le stesse modalità organizzative innovative di cui il nostro sistema scolastico avrebbe bisogno per colmare il gap con i sistemi scolastici dei paesi più avanzati, che ad oggi nessun ministro ha nemmeno avviato, fatto salvo il controverso tentativo della “Buona Scuola” durante il governo Renzi. Il mondo politico ne è oltretutto consapevole. Non è pensabile che le forze politiche non vedano, non capiscano, non sappiano.
Il problema è che non vogliono mettere la scuola e la ricerca tra i punti importanti della loro agenda politica. Prima viene sempre altro, soprattutto le azioni politiche che portano consenso, e possibilmente voti, alle successive elezioni, mentre un intervento radicale sulla scuola porterebbe benefici solo alla fine di un decennio, ossia occorrerebbero politici (statisti) capaci di pensare e attuare riforme per il bene del loro paese e dei suoi giovani e non utili a un rapido consenso per puntare a una rielezione.
Le dimissioni del ministro Fioramonti e le sue motivazioni ufficiali hanno avuto il pregio di mettere pubblicamente il dito nella piaga e di far dire ad altri politici che, come sempre, “la scuola è la Cenerentola” del sistema (speriamo che prima o poi arrivi il principe con la scarpetta di cristallo), con una prima reazione di questi giorni da parte di una forza di governo con affermazioni come “bisogna rimettere al centro la scuola iniziando dall’aumento degli stipendi dei docenti”. Azione politica doverosa e sacrosanta, dato che i livelli remunerativi dei docenti italiani sono i più bassi d’Europa ma, senza altre azioni che comportino radicali cambiamenti del modello organizzativo, non sarà questo che farà innalzare il livello qualitativo del nostro sistema scolastico.
In secondo luogo, dobbiamo tener conto del giusto personalismo di ogni ministro, che vorrebbe “passare alla storia” con una riforma che porti il suo nome. Pertanto il consiglio migliore dato in pubblico è destinato a non essere ascoltato, come la storia parlamentare insegna relativamente alle proposte di legge di iniziativa popolare che praticamente mai hanno avuto l’onore degli altari diventando leggi dello Stato. L’auspicio è che il nuovo ministro voglia cimentarsi con una proposta di grande innovazione e modernizzazione per avvicinarsi ai sistemi migliori. Saremo, nel caso, tutti disposti, nella piena riservatezza, a darle una mano.
Oltre a questa pesante eredità strutturale, i passati ministri hanno lasciato in eredità al ministro Azzolina anche il gravissimo problema legato agli studenti con disagio e alle loro famiglie. Un gravissimo problema che tocca indirettamente anche la scuola, ma principalmente cittadini a disagio cui, ad oggi, non sono riconosciuti i diritti previsti dalla nostra Costituzione con tutti i risvolti di conseguenze umane, di discriminazione e di equità che ho già approfondito nel mio ultimo articolo.
Il nuovo ministro, visto il suo curriculum che include abilitazione al sostegno e attività lavorativa in questo campo, dovrebbe essere consapevole dei disagi, delle difficoltà e delle attese di studenti e famiglie e sensibile verso una giusta soluzione.
Nel frattempo il mondo politico si muove nella sua logica, lontana dalla realtà, e ha stanziato nella legge di bilancio 12,5 milioni per alunni a disagio della scuola dell’infanzia paritaria, circa 500-600 euro annui per bambino, con critica delle associazioni formulata in un loro comunicato.
In una sorta di “legge del contrappasso” mi verrebbe da chiedere, se ce ne sono, a quei politici che hanno votato questa scelta e avessero figli con disagio quanto incide questo intervento, quale aiuto economico, non solo per loro che hanno un buon stipendio da parlamentari, ma per cittadini operai o medio impiegati, con le remunerazioni che conosciamo. È il solito “metodo Epulone”: facciamo cadere dalla tavola qualche briciola o pezzo di cibo così Lazzaro potrà mangiare qualcosa. Ma la filosofia che porta a pensare che tra niente e poco, meglio il poco, non regge più!
Oggi con il poco si muore, se non fisicamente, moralmente e umanamente. Oggi si chiede allo Stato il metodo “buon Samaritano”, ossia uno Stato che di fronte ai suoi cittadini più deboli si fa carico delle loro difficoltà, li cura, li accoglie, li fa ospitare, paga loro le spese.
Credo che il tempo nel quale il mondo politico possa affrontare con i metodi sopra esposti questo gravissimo problema stia per finire. Il popolo che rappresenta i cittadini con i figli a disagio non ha mai fatto la voce grossa o fatto solo sentire la propria voce, occupato e preoccupato a risolvere al meglio la situazione in cui si trovano, ma i tempi cambiano.
Parafrasando il titolo del famoso libro di Gino & Michele/Matteo Molinari Anche le formiche nel loro piccolo…, valutino che il popolo ogni anno si ingrossa, che la pentola comincia a bollire e che, senza interventi seri e risolutivi, prima o poi scoppierà e questo popolo presenterà il conto.
Spesso sono portato a pensare che per il mondo politico, portato a misurare tutto in voti, questo a dir poco sia un problema di secondaria importanza cui dare attenzione limitata. Recentemente ho avuto l’impressione che sia per loro addirittura “invisibile”, dato che, nel suo bellissimo messaggio di fine anno, il presidente Mattarella ha ritenuto di indicarlo tra i problemi che meritavano attenzione, ma nei concordi commenti positivi di tutte le forze politiche ognuna ha ricordato passaggi diversi condividendone l’importanza, ma non una ha citato i disabili.
Eppure il messaggio è stato forte e chiaro poiché, ricordando un regalo ricevuto a Natale da una associazione di disabili, il Presidente ne riportava il messaggio di accompagnamento: “Quando perdiamo il diritto di essere differenti, perdiamo il privilegio di essere liberi”.
Dovremmo riflettere tutti su questo messaggio. Stiamo parlando di cittadini con diritti costituzionalmente garantiti, ad oggi, non riconosciuti. Cittadini che, come tutti, hanno il diritto di “essere liberi”. Che la volontà politica, finalmente, batta un colpo.