Ma un pensierino alle prossime vacanze estive l’avete già fatto o no? Poco male, ci ha pensato il New York Times: fra le 52 mete da visitare nel 2020 per almeno una non è assolutamente necessario prenotare né traghetto, né aereo, né treno. È raggiungibile in due modi: se siete dei poltroni, comodamente seduti sul sedile della vostra auto; se siete sportivi, amanti del trekking, del footing, del jogging e del running, potete seguire i diffusissimi tratturi (occhio alla traduzione: nel dialetto locale, sono i sentieri, mica i trattori) della transumanza (è la migrazione stagionale delle greggi dalle alture alle pianure, entrata da pochissimo a far parte del prestigioso Patrimonio mondiale dell’Unesco).
Ma quale destinazione ha attirato le attenzioni dell’autorevole NYT (acronimo in uso per chi lo bazzica più frequentemente)? Diamine, nientepopodimeno che il Molise, vale a dire una regione che ha dato i natali a personaggi famosi come l’attore Robert De Niro, il vignettista Benito Jacovitti, il cantante Tony Dallara o il magistrato Antonio Di Pietro. Ma è anche la regione avvezza a inanellare record negativi in qualsivoglia classifica inerente al turismo. Eppure l’autorevole quotidiano statunitense gli assegna il 37° posto nella lista delle destinazioni imperdibili (per la cronaca, al primo posto si piazza Washington, mentre l’Italia oltre al Molise riesce a piazzare solo la Sicilia, settima, e Urbino, 51esima).
Per il Molise si tratta comunque di una soddisfacente rivincita. Cliccando la parola “Molise” sui social ci si imbatte in post e video che lo definiscono come un luogo immaginario, se non addirittura favolistico: “Il Molise non esiste” è il ricorrente refrain in cui spesso ci si imbatte. Possibile? Davvero?
Lo abbiamo chiesto anche al nostro amico Zingarelli, un vocabolario che sa tante cose perché le ha rubacchiate qua e là transumando dall’Abruzzo al Gargano. “E in questo tragitto – ci assicura – ho dovuto attraversare il Molise, la seconda regione più piccola d’Italia. Dunque, posso garantirvelo, il Molise esiste e lotta con noi. Una terra millenaria: infatti il nome Molise deriva dall’espressione ciò che pur piccolo esiste da mo’. A Montenero di Bisaccia, per esempio, è stato ritrovato un reperto eccezionale, risalente addirittura all’Età Di Pietro: un ominide che pur esprimendosi in modo rozzo e gutturale già all’epoca sbagliava i congiuntivi, persino nelle incisioni rupestri!”. E poi, incalza lo Zinga dichiarandosi d’accordo con il NYT, “il Molise piace perché è incontaminato e vi sopravvive l’Italia autentica, quella che ancora oggi litiga con il congiuntivo”.
Ma perché andare e visitare in Molise? Oltre alla cucina, alle montagne, alle spiagge e alle bellezze artistiche, meritano senz’altro un tour i suoi borghi più belli, suggestivi e caratteristici. Eccone alcuni.
Lupara. Conta 405 abitanti, di cui 404 provenienti dalla Sicilia: Non c’è il mare, tuttavia il porto (d’armi) ce l’hanno tutti.
Gambatesa. Piccolo comune che conta più calciatori che abitanti: vi si disputano partite di calcio molto accese e spigolose, ad alto tasso di incidenti e conseguenti interventi ortopedici. La rivalità è molto forte fra le 4 squadre cittadine: Borussia Gambatesa, Real Gambatesa, Gambatesa United e Dinamo Gambatesa.
Scapoli. Ridente località abitata solo da aitanti giovanotti, tutti curiosamente single. E tutti rigorosamente appassionati di calcetto (appuntamento, ovviamente, ogni venerdì sera sui campetti di Gambatesa…).
Fornelli. Il paesello vanta il più alto tasso di partecipanti a Masterchef, la Prova del Cuoco, Cortesie per gli ospiti, Bake off Italia, Cake Star eccetera eccetera.
Macchia. Piccolo borgo dove si svolgono numerosi festival e numerose sagre: Macchia Blues (dedicato ai concerti blues), Macchia Nera (sagra della seppia), Macchia Rossa (sagra del pomodoro), Macchia Mediterranea (festival della cultura mediterranea), Macchia d’olio (sagra dell’olivo), Macchia solare (fiera internazionale delle creme solari), Darsi alla macchia (campionato mondiale di nascondino), Senza Macchia e senza paura (festival cinematografico dei film di cappa e spada. Che poi nella tavola imbandita nella piazza del paese si trasforma in coppa, l’affettato, e spada, il pesce).