Il giorno dopo, cosa resta della Conferenza di Berlino per il futuro della Libia? Nella controversa riunione-fiume tenutasi ieri sotto l’egida della Cancelliera Angela Merkel, i risultati ci sono anche se non sono esattamente quanto quelli sperati dalla diplomazia internazionale: Haftar e Sarraj continuano a non volersi neanche parlare (per di più non controllano l’intera Libia, l’accordo di pace non potrà non tener conto delle tante tribù presenti sul territorio libico), la Turchia e la Russia proseguono nella “spartizione” del Mediterraneo e l’unica voce che si è saputa imporre a livello europeo è una volta di più la Germania. Di certo però, la guerra non è riesplosa tra Tripoli e Bengasi e questo è già un ottimo esito della Conferenza di Berlino che si è chiusa con un “mini-accordo” su tre punti: favorire il cessate il fuoco tra le parti; rispettare l’embargo contro le armi nel Paese nordafricano; evitare le interferenze straniere. Il Premier del Governo di Accordo Nazionale e il Generale della Cirenaica seppur senza firmare ufficialmente la dichiarazione finale di Berlino hanno di fatto accettato queste tre condizioni, promettendo anche un iniziale dialogo per formare un futuro in Libia con un Governo unico. Da qui all’effettiva possibilità di tale opzione però di spazio (e forse anche tempo) nel passa: «L’Italia è assolutamente disponibile ad essere in prima fila anche nella direzione di una missione di monitoraggio della pace», ha spiegato il Premier Conte che ha dovuto però incassare il possibile e prevedibile “predominio” della Turchia sul Mediterraneo in accordo con Putin e la Merkel. Non solo, è l’Europa in quanto tale a trovare la “doppia” risultanza di questa Conferenza: recupera in prestigio e diplomazia, ma si conferma senza una “voce unica” e con poca possibilità di imporre condizioni a confronto di Russia, Turchia e Stati Uniti.
LIBIA, LE REAZIONI DI UE E TURCHIA AL “MINI ACCORDO” DI BERLINO
«Ieri a Berlino è stata una buona giornata. Abbiamo creato un buono slancio. Dobbiamo usarlo per fare progressi verso una soluzione» è stato il primo commento dell’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell’Ue, Josep Borrell che arrivando in Consiglio Esteri Europeo si dice favorevole al ripristino della missione navale Sophia per monitorare l’embargo sulle armi in Libia. Non solo, per il successore di Federica Mogherini, non è escluso l’invio di soldati sul campo per mantenere la tregua: «Un cessate il fuoco richiede che qualcuno se ne occupi. Non possiamo dire questo è un cessate il fuoco e poi dimenticarcene. Il controllo dell’embargo sulle armi, ci sono diverse possibilità e i ministri dovranno decidere come aiutare a implementare l’accordo di ieri […] è chiaro l’embargo sulle armi richiede un alto livello di controllo. Se vogliamo mantenere vivo il cessate il fuoco qualcuno deve monitorarlo: le Nazioni Unite, l’Unione Africana, l’Unione Europea… Qualcuno deve farlo. Non possiamo far funzionare il cessate il fuoco da solo». Nel frattempo, mentre l’Europa prova a sondare il terreno sull’eventualità dell’invio di forze speciali in Libia, chi le truppe le ha già sul campo a difesa di Tripoli e di Sarraj si conferma intenzionato a continuare gli sforzi di pace (mantenendo però il controllo sul destino economico e militare della regione): «La Conferenza di Berlino è stata un’opportunità importante per fermare il conflitto e per una soluzione politica in Libia. La Turchia continuerà ad applicare la sua politica costruttiva e pacifica contro le guerre per procura», ha detto sapere il portavoce di Erdogan. Sul fronte italiano, oltre a Conte è il Ministro degli Affari Europei Enzo Amendola a parlare nell’ultimo forum Ansa sul futuro della Libia: «La conferenza di Berlino è un nuovo inizio che fa ben sperare», anche se sottolinea il Ministro Pd «ci sono stati troppi ritardi e troppe divisioni, sono passati troppi mesi e ci sono state troppe interferenze. Ieri sono stati segnati punti importanti nella dichiarazione: il cessate il fuoco che deve essere verificabile, l’embargo sulle armi, il coordinamento tra Paesi che ieri nasce e il dialogo politico che è una necessità perché non c’è soluzione militare».