Le mosse di Trump e Putin degli ultimi giorni mostrano perfettamente “l’ideologia della vittimizzazione” che domina il mondo. Trump ha potuto vendere come un grande successo la “pace commerciale” con la Cina e Putin ha fatto cadere il Governo russo e avviato una riforma costituzionale accelerata perché viviamo in un mondo di “umiliati e offesi”. Non solo russi e americani, tutti gli abitanti del pianeta, in questo inizio degli anni ’20, sono disposti a comprare narrazioni e discorsi che approfittano di un sentimento di espropriazione e spoliazione.
Mentre il terzo impeachment nella storia degli Stati Uniti prendeva l’avvio al Senato (processo destinato in partenza al fallimento), Trump esibiva una vittoria nella guerra commerciale contro la Cina, firmando un accordo con il vicepremier Liu He. Non è una pace definitiva perché gli Stati Uniti mantengono i dazi di 360 miliardi di dollari, ma Trump ha potuto esibire l’intesa che porterà la Cina ad acquistare più di 200 miliardi di dollari di prodotti americani. Gli Stati Uniti tornano a essere grandi, dopo aver fermato il Gigante asiatico che, con la sua valuta artificialmente svalutata, aveva ottenuto un favorevole surplus commerciale. Tutto a spese della buona industria americana mantenuta e sostenuta da buoni americani.
In realtà, esaminando le cifre nel dettaglio, la vittoria non è né chiara, né rotonda. La guerra commerciale degli ultimi mesi ha causato gravi danni all’economia americana. Nell’estate del 2018, la Cina si era già offerta di acquistare prodotti agricoli e manufatti per un valore simile a quello attuale prima che Trump decidesse di aumentare i dazi con i loro conseguenti danni. Gli analisti del Financial Times sono stati categorici: gli impegni di acquisto della Cina non significano che il disavanzo della bilancia commerciale si ridurrà, la maggior parte delle tariffe resta in vigore e l’impegno a combattere il cyber-spionaggio è assente nell’accordo.
I risultati economici non contano. L’importante è che Trump, in questo anno elettorale, possa mostrare a molti votanti che “l’eccezionalità morale americana” è finita. Trump in un’intervista alla CNN del 2014 aveva detto quale sarebbe stato il suo “programma”: “Ci sono molti paesi nel mondo che sono arrabbiati con il termine ‘eccezionalismo americano'”. Con l’attuale presidente repubblicano alla Casa Bianca, l’eccezione che aveva reso gli Stati Uniti nel secolo scorso un punto di riferimento morale per il mondo è finita. Ora il Paese si prende cura dei suoi interessi, se è necessario ricorre al protezionismo (uno dei meccanismi più dannosi per l’ordine internazionale). Gli Stati Uniti devono essere di nuovo grandi ma non eccezionali, la normalizzazione è la restaurazione degli Stati Uniti egoisti in mezzo a tanti Stati egoisti (Janan Ganesh).
Non si sarebbe potuti arrivare a questo punto se una parte importante dell’opinione pubblica americana non si considerasse vittima dell’occupazione dell’Iraq, delle conseguenze della guerra al terrorismo o della globalizzazione. Il mondo ha smesso di essere terra di missione per la democrazia, è una giungla in cui occorre difendersi. Reagan era contro i muri sovietici, Trump li difende. Bush junior era un seguace della democrazia in Medio Oriente, Trump un isolazionista.
La vittimizzazione spiega anche i passi che Putin continua a compiere in Russia. Il crollo dell’Unione Sovietica avvenne in un momento in cui la situazione della popolazione non era esattamente buona. Ma i fatti non contano. Negli ultimi 30 anni nella società russa è cresciuta la nostalgia per ciò che non si era avuto, la sensazione di essere spoliati e umiliati. Per questo Putin, già alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel 2007, aveva annunciato di non essere disposto a rispettare il “consenso occidentale” su cosa sia una democrazia e quali siano i principi che dovrebbero governare le relazioni internazionali. Da allora, con un’economia malconcia e un grave problema demografico, ha esteso la sua influenza sul mondo con un gioco sporco, che ora arriva in Libia. Da allora non ha avuto un interesse particolare nel simulare una democrazia, la sua è diversa.
La caduta del Governo e la riforma costituzionale annunciata la scorsa settimana vanno in questa direzione. La modifica della Costituzione, che sarà realizzata al di fuori delle procedure stabilite, mira ad aumentare il ruolo del Parlamento, ma anche il controllo, in particolare, del Consiglio di Stato. Putin potrebbe star preparando una formula per esercitare il potere su quest’organo come quella usata dal Presidente cinese. Ha giocato con la carica di primo ministro e con la presidenza come ha meglio creduto negli ultimi anni. Le dimissioni di Medvedev cercano di placare un certo malcontento, ma non si può escludere che l’ex Premier riappaia in un’altra posizione. In realtà, il carattere illiberale della democrazia russa non è più una notizia per nessuno.
Può sembrare una questione che riguarda solamente americani e russi, ma “l’ideologia della vittimizzazione” si diffonde in tutto il mondo come la nuova formula che usa il potere perché reinterpretiamo le nostre esperienze civiche e vitali come quelle di qualcuno che ha perso il paradiso, che ha bisogno di difendersi dall’altro con quasi tutti i mezzi.