L’Opera di Firenze/Teatro del Maggio Musicale Fiorentino ha importato una produzione di Risurrezione di Franco Alfano dal Festival di Wexford in Irlanda. Sono stato alla recita del 19 gennaio; la platea era piena, ma non le due gallerie, soprattutto perché il titolo è una vera rarità, precedentemente messa in scena a Firenze solo una volta, nel lontano 1929. Anche se Risurrezione ha avuto molto successo nei primi cinquant’anni del ventesimo secolo – ci sono state più di mille rappresentazioni in Europa e nelle Americhe -, l’opera è quasi scomparsa dai cartelloni negli ultimi settant’anni. In Italia, ad esempio, solo a Verona e a Palermo ci sono state riprese rispettivamente nel 1987 e nel 1990.
Franco Alfano è ricordato oggi meno per le sue opere che per il suo ruolo nel completamento dell’opera di un altro compositore – Turandot -, lasciata incompiuta al momento della morte di Puccini. Tuttavia, c’è molto più valore nella la sua produzione di quanto le sue dieci o più opere indichino, dal momento che prestò maggiore attenzione ai comparti della musica orchestrale e da camera di molti dei suoi contemporanei italiani. Di recente, Placido Domingo e Roberto Alagna hanno fatto riscoprire Cyrano de Bergerac, un vero capolavoro, un po’ in tutto il mondo; ed una decina di anni fa, il Teatro dell’Opera di Roma ha prodotto un altro capolavoro, La Leggenda di Sukantula, tratta da un grande classico della letteratura indiana.
Risurrezione, l’opera che portò ad Alfano il suo primo assaggio di fama, debuttò a Torino nel 1904 (lo stesso anno di Madama Butterfly di Puccini). Il suo soggetto russo – l’opera è basata sull’ultimo grande romanzo di Tolstoj, un romanzo di ben 550 pagine – anticipa una moda ‘russa’ nell’opera italiana dei primi del Novecento come Siberia e Fedora di Giordano. Anche il libretto non è in versi, ma in prosa, una grande innovazione per l’epoca.
Risurrezione racconta del giovane aristocratico Dimitri che mentre presta servizio in un tribunale riconosce la prostituta Katerina Maslowa come la giovane ragazza che aveva una volta sedotto. Rifiuta la sua vita precedente e la segue in Siberia, cercando di annullare i torti del passato. Ottiene la grazia imperiale per lei e propone di sposarla, ma lei decide di essere la moglie di un detenuto politico, Simonson, che dedica la sua vita a migliorare la condizione dei suoi compagni di prigionia.
La complessa critica di Tolstoj alla società russa fu particolarmente dura nella sua analisi della Chiesa ortodossa, tanto che portò alla scomunica formale dello scrittore. L’opera di Alfano si concentra sul dramma delle relazioni interpersonali. Il libretto di Cesare Hanau – quattro atti di mezz’ora ciascuno – è al tempo stesso brutale e avvincente. La musica segue lo stile del verismo: un’attenta orchestrazione (con intermezzi sinfonici), interventi polifonici da parte di un gran numero (venticinque) di personaggi minori, declamazione lirica che scivola in ariosi ed in duetti. Tre duetti sono particolarmente significativi: al primo, al secondo e al quarto atto. Nelle opere successive, Alfano lasciò gradualmente il verismo sotto l’influenza di Claude Debussy e Richard Strauss.
È facile capire come l’opera sia diventata rapidamente un successo nelle maggiori capitali, da Parigi a Chicago; un arioso come ‘Dio pietoso’ diventò uno dei brani preferiti della leggendaria Mary Garden così come di Magda Oliviero, Gianna Pederzini e, nelle poche riprese recenti, Mirella Freni.
La produzione è di livello soprattutto perché, con mezzi limitati, scene (Tiziano Santi), costumi (Claudia Pernigotti), luci (Ginevra Lombardo) e soprattutto recitazione (Rosetta Cucchi è il regista) creano l’atmosfera del periodo russo in modo vivido ed efficace. Francesco Lanzillotta dirige con perizia l’orchestra del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino. Presta attenzione a non coprire le voci con la grande orchestrazione sinfonica e da un gran rilievo all’interludio del terzo atto.
Della produzione originale di Wexford solo la protagonista, la francese Anne Sophie Duprels è nel cast di Firenze. È un soprano impressionante che gestisce molto bene un ruolo impervio, in particolare il monologo che riempie quasi tutto il secondo atto. Dimitri è il tenore americano Matthew Vickers con un forte registro centrale e un ottimo volume. Il baritono coreano Leon Kim è Simonson: ha l’unica romanza dell’opera e la rende efficace.
Applausi per tutti e ovazioni per Anne Sophie Duprels.