Con il rientro ufficiale di Delta nella questione Alitalia continua la telenovela che ormai ha superato ogni limite temporale e di decenza nella sua risoluzione. La sostituzione dei precedenti commissari con il solo Giuseppe Leogrande nella conduzione non ha però provocato dei cambiamenti notevoli, visto che da un’accelerazione della proposta Lufthansa (dopo che si era deciso di applicare il piano concepito sia da Ugo Arrigo che da Gaetano Intrieri mirante una pulizia dei vari oneri ingiustificati che pesano sulla compagnia) sponsorizzato ampiamente dal Movimento 5 Stelle si è poi passati ad un rientro di FS, l’uscita di Atlantia e ora un ritorno di Delta nella questione. A proposito: Lufthansa potrebbe rientrare nel consorzio ma solo per alleanze commerciali e solo dopo una ristrutturazione. In pratica, i tedeschi non vogliono metterci un euro e pretendono di trovarsi con una compagnia “ancellare” ai loro interessi, svuotata a spese dello Stato.
Insomma, Alitalia si sta trasformando in una porta girevole d’albergo dalla quale transitano o lo hanno fatto tutti, ma proprio tutti, con uno Stato che continua a sborsare capitali inutili per mantenerla in una situazione di instabilità, quindi soldi letteralmente buttati dalla finestra, come nella migliore tradizione del nostro Paese.
L’abbiamo ripetuto fino alla noia quanto in una nazione normale la questione sarebbe già stata risolta nella forma più logica (già ampiamente illustrata), visto che le privatizzazioni precedenti avevano portato al “miracolo” di replicare la catastrofica situazione vissuta dopo il fatidico 1998 (e il cui principale responsabile fu- ed è – una politica di una nazione senza un sistema-Paese in grado di fornire un futuro roseo a un settore tanto importante). Alitalia, pur avendo un costo lavoro abbondantemente lowcostizzato, non è mai riuscita a decollare seriamente, vittima di una generazione di managers che poco conoscevano il settore o che volevano trasformarla in un’ancella degli interessi della loro aerolinea (Etihad docet).
Ora Delta rientra, anche se con un investimento minimo (100 milioni), ma con possibilità di aumentarlo: il vero problema è cosa avranno in testa di fare gli altri partner del consorzio, dove lo Stato dovrebbe avere la maggioranza, perché una ristrutturazione ampiamente annunciata (con relativi esuberi) altro non sarebbe che il solito piano di “rilancio”, ma verso un volo con atterraggio annunciato e purtroppo più simile a un altro crashing che a un landing.
Mettiamocelo bene in testa: una compagnia che è stata tra le 8 principali del mondo per destinazioni nei 5 continenti può tranquillamente ritornare a vedere la luce solo con un piano che le permetta svilupparsi come cardine di un’Italia che vuole rinascere, al servizio della sua immagine, economia e soprattutto turismo. Sviluppo non significa ridurre, ma aumentare la propria capacità. Questo lo dobbiamo capire tutti, dipendenti Alitalia compresi, che devono risollevarsi da quella paranoia passiva che, nel corso degli anni, gli ha impedito far valere le proprie valide ragioni per trasformarsi in vittima mediatica di balle spaziali diffuse per permettere operazioni che, alla fine, si sono rivelate fallimentari sia per Alitalia che per il Paese.
Proprio i loro colleghi di Delta in questi giorni hanno ricevuto 1,6 miliardi dollari come dividendo dei ricavi della loro compagnia: già nel 1998 i lavoratori Alitalia avevano avuto questa possibilità, poi letteralmente buttata nel cesso anche per una sostanziale contrarietà di organizzazioni sindacali che vedevano nella manovra una perdita del loro potere all’interno dell’azienda. Ora i tempi sono pure cambiati e secondo noi i dipendenti Alitalia dovrebbero capirlo, uscire dalla lunga sofferenza passiva di questi anni e tornare a far sentire la loro voce. Perché Alitalia sono principalmente loro e solo loro, nella loro volontà di partecipazione, potranno salvarla. Per il bene di tutti noi italiani.