Uno dopo l’altro, come era prevedibile, gennaio sta sciogliendo i nodi che la politica aveva scaricato su di esso. Prima è stato il turno del referendum abrogativo chiesto da alcuni Consigli regionali per trasformare il meccanismo elettorale di Camera e Senato in un sistema interamente maggioritario a collegi uninominali, dichiarato inammissibile dalla Corte costituzionale.
Ieri è stata la Corte di cassazione, attraverso un comunicato, a informare che l’Ufficio centrale per il referendum ha dichiarato che la richiesta di referendum sul taglio dei parlamentari, sul testo di legge costituzionale recante “modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, sorretta dalla firma di 71 senatori, è conforme all’articolo 138 della Costituzione ed ha accertato la legittimità del quesito referendario dalla stessa proposto.
Da qui al voto passeranno ancora mesi (almeno un paio, forse il doppio), e vi sono margini di elasticità che gli attori politici e istituzionali potranno sfruttare.
Il referendum dovrà essere indetto dal Presidente della Repubblica entro 60 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza, la data del referendum dovrà essere fissata in una domenica compresa tra il 50esimo e il 70esimo giorno successivo all’emanazione del decreto di indizione, altri passaggi tecnici saranno necessari per arrivare all’eventuale promulgazione della legge di revisione. Ma è ovvio che certi spazi si vanno assottigliando e se il Re non è ancora nudo, appare certo meno vestito di quanto non fosse solo un mese fa.
Un dato, intanto, appare certo. Se, come molti osservatori danno per scontato, l’esito del voto popolare risulterà a favore dell’approvazione (ma sarà così?), rientreremo nella finestra temporale prevista dall’articolo 3 della legge 51/2019, approvata nella scorsa primavera per assicurare l’applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari, il quale stabilisce che “qualora, entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sia promulgata una legge costituzionale che modifica il numero dei componenti delle Camere … il Governo è delegato ad adottare un decreto legislativo per la determinazione dei collegi”.
A quel punto, però, scatterà una sorta di tagliola temporale (60 giorni), pena la scadenza della delega stessa. E ad oggi, come noto, non appare nemmeno chiaro verso quale sistema elettorale ci condurrà la fervida fantasia delle forze politiche, figurarsi la determinazione dei collegi elettorali.
Nel frattempo, altri passaggi seguiranno (a partire dalle elezioni regionali) e non è detto che saranno nodi che si sciolgono. Ma questo, si sa, è soprattutto una questione della prospettiva da cui si pone l’osservatore.
Dal punto di vista delle istituzioni, l’eventuale cambiamento delle assemblee parlamentari e di una serie di equilibri, magari accompagnato da altre riforme costituzionali avviate o in cantiere, potrebbero determinare effetti su cui varrebbe la pena riflettere con più attenzione di quanto sembra si stia facendo.