Lo scuolabus da cui non scendere

In Spagna è scoppiata una polemica dopo una misura approvata dalla regione di Murcia relativa all'educazione dei figli

Dopo la pausa natalizia, gli autobus gialli che portano i bambini nelle scuole sono tornati a girare per le strade delle città americane. Alcuni non ne hanno bisogno perché possono andare a lezione a piedi o perché un membro della famiglia li accompagna. Ma ci sono due milioni di bambini che non prendono l’autobus giallo perché la loro scuola è a casa. Il fenomeno del homeschooling, iniziato negli Stati Uniti negli anni ’60, riguarda ora più di due milioni di persone.

I tassi di crescita annuali sono elevati. Cinquant’anni fa l’homeschooling era un’espressione della controcultura, ma quando negli anni ’70 la Corte Suprema ha deciso di eliminare la preghiera nelle scuole pubbliche, alcune comunità cristiane hanno scommesso su questa formula. Il 10% circa degli evangelici, secondo alcune stime, forma i propri figli in casa. Sembrano cercare un’opzione che allontani i bambini dai pericoli dell’insegnamento per tutti: per salvare la fede, coltivarla, meglio evitare i pericoli. Ma la motivazione religiosa non è l’unica, c’è anche chi preferisce la scuola in casa perché evita il bullismo e un ambiente molto aggressivo.

Da quasi cinque decenni si discute sulle conseguenze socio-emotive della scuola domestica in cui l’ambito delle relazioni viene ridotto. Si discute dell’opportunità di favorire opzioni che “proteggono” la trasmissione dei valori con cui si vuole educare. O, al contrario, dell’opportunità che i ragazzi verifichino le ipotesi che la famiglia ha offerto loro in un ambiente plurale o addirittura apertamente ostile.

L’homeschooling è stato usato dalla nuova destra americana come una bandiera. E così Grover Norquist ha sostenuto che il suo cittadino ideale è un lavoratore autonomo, formato con l’homeschooling, con un porto d’armi. Una persona che non ha bisogno di nessun “maledetto Governo”. È evidente che le espressioni di Norquist appartengono a un anarchismo di estrema destra. L’homeschooling, anche se invocato da questi radicali, non è ben rappresentato dalle loro posizioni. Non implica necessariamente un disprezzo assoluto per il Governo o lo Stato, ma si collega a un rifiuto molto tipico di una certa tradizione solitaria americana, che non si riconosce in contenuti comuni, educativi e politici, che possano essere condivisi da tutti. Tocqueville lo aveva già descritto ai suoi tempi con parole che avrebbero potuto essere scritte oggi: “Vedo una moltitudine innumerevole di uomini simili e uguali (…). Ciascuno di questi uomini vive per conto proprio ed estraneo al destino di tutti gli altri: i figli e gli amici costituiscono per lui tutta la razza umana. Esistono per loro stessi, sono soli. Possono ancora avere una famiglia, ma non hanno più un Paese”.

La descrizione di Tocqueville è attualissima dopo le opzioni più o meno monacali di alcuni, la deriva della nuova destra e le politiche di segmentazione identitaria (neri, donne, omosessuali, ecc.) praticata dalla sinistra dagli anni ’70, ma il fenomeno cresce in tutto l’Occidente. Le politiche multiculturali, sia teoriche che pratiche, di alcuni paesi europei o determinate politiche di genere sembrano presupporre che “non c’è un Paese”, che non c’è terreno in cui le esperienze possano comunicare. Per questo un liberale come Mark Lilla negli ultimi anni ha lanciato un grido denunciando che in un momento in cui dovremmo convincere le persone che hanno diversi modi di vivere, che condividiamo il destino e la necessità di stare insieme, la nostra retorica ci incoraggia a essere narcisisti. Dal suo punto di vista, stiamo sprecando le nostre energie in drammi simbolici dedicati alla nostra identità. Un’identità chiusa che si difende. È una posizione che, pur non presupponendo l’incomunicabilità delle identità, la causa.

In Spagna nelle ultime settimane c’è stata una polemica, in gran parte artificiale e alimentata dal Governo, dopo che la regione di Murcia ha adottato una misura, denominata pin parentale, che consente ai genitori di non autorizzare la partecipazione dei propri figli a un’attività complementare (ma obbligatoria) condotta da persone esterne alla scuola. Vox, che ha promosso la misura, sostiene che si tratta di uno strumento per evitare l’indottrinamento dei bambini. Il pin parentale, di fatto, praticamente non è stato utilizzato. Il Governo Sánchez-Iglesias ne ha parlato tanto per sostenere che “i bambini non sono dei genitori” e che le convinzioni dei genitori sono “accessorie”. Una costruzione che non si adatta alla regolamentazione costituzionale del diritto all’istruzione. L’opposizione ha denunciato lo statalismo dell’esecutivo. La polemica è divampata in un Paese incapace di accordarsi da quarant’anni sulla politica dell’istruzione.

I contenuti elementari insegnati nelle scuole devono essere comuni e per questo è necessario raggiungere il massimo consenso. E i genitori, in questioni particolarmente delicate che riguardano le loro convinzioni, dovrebbero essere in grado di porre dei limiti. Tutto riguarda le convinzioni, ma esse non si costruiscono scendendo dall’autobus comune. È sul bus giallo dove vengono verificate le loro validità e utilità. La vocazione non può essere difensiva, condividiamo il desiderio e il bisogno.

Ti potrebbe interessare anche

Ultime notizie

Ben Tornato!

Accedi al tuo account

Create New Account!

Fill the forms bellow to register

Recupera la tua password

Inserisci il tuo nome utente o indirizzo email per reimpostare la password.