Sono più di 450mila gli studenti che oggi hanno atteso la comunicazione delle materie oggetto della seconda prova dell’esame di maturità 2020 che si svolgerà a partire dal 18 giugno, dopo la prova di italiano fissata per il 17 giugno.
Nella scuola dove insegno, un liceo classico, tale attesa mi è parsa piuttosto contenuta. Gli interrogativi c’erano, ma l’esperienza dell’anno precedente ha messo in luce che, per vari motivi, la prova (quest’anno sarà la traduzione di un testo greco, presentato in un contesto, e il successivo confronto, attraverso domande indicate, con un testo latino fornito anche in traduzione italiana) risulta più accessibile rispetto alla semplice traduzione da una delle due lingue classiche, come era fino al 2018.
L’impressione lasciata dal secondo scritto del 2019 era francamente quella di trovarsi di fronte a un tentativo di sciogliere le difficoltà, di spianare la strada agli studenti. I risultati della prova infatti sono stati, per lo più, omogenei: difficile presentare un compito irrimediabilmente disastroso, difficile anche d’altra parte far emergere quella genialità di cui i “fuoriclasse” sono certamente dotati. In linea quindi con la policy dei corsi di studi della nostra scuola italiana: sostenere i più deboli.
L’aver superato l’idea del momento traduttivo come pura verifica di competenza tecnica, allargando la prova a un contesto e a un paragone, è certamente interessante e valido: obbliga a riflettere sul proprio lavoro di traduzione, così da ridimensionare lo scrupolo perfezionista della traduzione in favore di una comprensione più completa, che tenga conto di nessi con altri testi. Rimane però un’ambiguità, che lascia spazio a un sospetto: forse si ammette implicitamente che tradurre è un’impresa troppo difficile, sostituibile con un discorso sui testi proposti (il che è del tutto in contrasto con l’idea di una comprensione più completa).
Un pochino di preoccupazione tra gli studenti viene dal fatto che il commissario di latino e greco (cui è affidata, come il Miur stesso scrive, la seconda prova scritta) sia membro esterno (del proprio insegnante, soprattutto se si ha la ventura di esserne studenti da più anni, si conoscono tutti i “pallini”): ma c’è stata ancor più sorpresa nel leggere quali altri docenti, oltre a quello di latino e greco, sono stati indicati come membri esterni.
Si tratta infatti del docente di scienze e di quello di storia dell’arte, mentre come membro interno il Miur ha, come logico, indicato il docente di italiano (cui è affidata la prima prova). Tutto ciò significa che i singoli consigli di classe, dovendo scegliere gli altri due membri interni, si troveranno a scegliere di escludere una o più discipline fondamentali (o inglese, oppure matematica e fisica, oppure storia e filosofia). Forse il ministero vuol fare intendere che dobbiamo considerare tutte le materie importanti, e non escludere, come di fatto “canonicamente” si faceva, alternativamente scienze o storia dell’arte.