“Il tagliando lo devono fare tutti”. Nell’attuale quadro politico congelato e cristallizzato, non solo il governo, ma anche il centrodestra, alla luce dei risultati elettorali in Emilia-Romagna e in Calabria, è chiamato a una verifica per ridisegnare una nuova fase. Ne è convinto Augusto Minzolini, commentatore politico per Il Giornale. E non è detto che possa essere Matteo Salvini a condurla, perché la nuova strategia, da spendere in questa legislatura, dovrà essere necessariamente “più manovriera e meno identitaria”. Il motivo è presto detto: “Il combinato disposto tra post-voto in Emilia, fissazione del referendum sulla riduzione dei parlamentari e legge elettorale proporzionale con soglia di sbarramento prevede una profonda rivoluzione nel nostro scenario politico, che coinvolge, da una parte, il centrosinistra e dall’altra anche il centrodestra. Non è detto, poi, che alla fine di questo cambio di strategia, determinato da regole nuove, lo scenario politico possa rimanere lo stesso”.
A che esiti potremmo arrivare?
Prevedo che il tagliando del centrodestra, e soprattutto di Salvini, debba partire dal presupposto che un intreccio del genere rende di fatto molto difficili, se non addirittura impossibili, le elezioni anticipate.
Per quale motivo?
Molto semplice: la riduzione dei parlamentari, che di fatto è già entrata in vigore perché è difficile immaginare che il referendum giunga a un esito diverso, creerà una sorta di resistenza da parte del corpo parlamentare ad andare al voto. Infatti, indipendentemente dai sondaggi, in ogni caso bisognerà eleggere 400 deputati anziché gli attuali 630 e 200 senatori invece di 315. Una parte, quindi, dovrà rimanere fuori da Camera e Senato e farà di tutto per evitare le elezioni anticipate. Perciò continuare nella politica della spallata è poco efficace: si rischia tutt’al più di slogarsi la spalla.
Cosa serve allora?
È necessaria una politica più manovriera, più portata al confronto, al dialogo, a far emergere di fatto le contraddizioni dell’attuale maggioranza giallo-rossa sui suoi programmi. L’obiettivo è maturare la capacità di creare le condizioni per cui si arrivi al superamento di questo quadro politico, se possibile, il che è tutto da dimostrare, ben sapendo però che ciò avverrà difficilmente con il voto anticipato.
Tocca a Salvini questo compito?
Non so se sia capace di svolgere una politica diversa di quella che ha messo in campo finora o se invece continuerà a essere un leader monocorde, che gioca molto sull’impatto, sul rapporto diretto con l’opinione pubblica e poco sulla possibilità di fare delle strategie – diciamo così – di palazzo.
È Salvini il tappo che impedisce di cambiare lo status quo, facendo cadere un governo sempre impantanato tra rinvii e litigi?
Adesso è proprio uno status: la situazione è cristallizzata per i motivi che ho ricordato prima. Oltre tutto, con un ritorno al sistema elettorale proporzionale, gli attuali poli saranno stressati, ognuno farà corsa a sé. Le maggioranze possibili si verificheranno sui numeri solo successivamente, a urne chiuse.
Tutto questo cosa comporta?
Che se uno segue una strategia come quella perseguita da Salvini o arriva al 51%, ma finora nessuno dei due poli è capace di arrivarci, o deve fare una politica che stacca pezzi dall’altra coalizione. C’è bisogno, insomma, di una leadership che sia più condivisibile, e non fortemente identitaria come quella di Salvini.
In questi giorni si è ventilata l’ipotesi di una possibile leadership del centrodestra da affidare a Giancarlo Giorgetti. Può essere la figura giusta?
Il problema, intanto, non è solo del centrodestra, perché vale anche per l’altro fronte. Certo che la cosiddetta Lega di governo ha la possibilità di avere uno spettro di rappresentanza, all’interno di questo scenario, più ampio di una leadership che gioca solo sull’opzione sovranista tutto il suo investimento politico. È però complicato immaginare in questo momento uno scenario probabile.
Qualche punto fermo ci sarà pure, o no?
L’unica cosa abbastanza chiara, perché determinata dall’antropologia degli attuali parlamentari, è che nessun eletto accetta di andare al voto anticipato sapendo poi di non esser più rieletto. In questa situazione, se si vogliono cambiare gli equilibri, bisogna mettere in pista leadership che possono trovare una maggiore condivisione rispetto a leadership capaci di rappresentare solo una parte.
In effetti, rispetto alle estreme, il voto regionale in Emilia e Calabria ha rimesso al centro la questione del centro politico. Torna, cioè, a essere decisivo il voto dei moderati. Chi se lo può accaparrare oggi?
Più che dal voto in Emilia o in Calabria la centralità dei moderati è determinata dalla nuova legge elettorale in discussione. Dopo un bipolarismo caratterizzato da una legge maggioritaria che premiava rispetto al passato le figure più estreme, più fortemente identitarie, a fare da ago della bilancia saranno i territori di confine, che in base all’opzione politica che sceglieranno determineranno un esito o un altro. Bisogna però vedere se si manterranno in piedi due centri o se invece il centro si confedererà, diventando una sorta di terzo polo.
E il M5s?
Coltiva sempre la possibilità di essere un quarto polo, qualora i grillini ci saranno ancora. Come ricordato da Di Maio, il non volere un’alleanza organica con il Pd parte proprio dal tentativo di investire su questo schema non bipolare, che è frutto appunto del nuovo meccanismo elettorale. E questa ristrutturazione in chiave proporzionale premierà un lessico meno violento e premierà quei leader che potranno essere addirittura riconosciuti tali anche da pezzi dell’elettorato schierato sull’altro fronte.
Lei è convinto che non si andrà al voto anticipato e che il quadro rimarrà cristallizzato. Potremmo anche arrivare a fine legislatura? E in quel caso cosa dovrebbe fare il centrodestra, che al momento sembra sprovvisto di un piano B?
L’attuale configurazione politica tende ad andare avanti per inerzia, anche se bisogna tenere conto che con le imminenti nomine negli enti pubblici entro sei mesi si ridisegnerà la mappa del potere in Italia. Comunque, il ridimensionamento dei Cinquestelle e il fatto che il Pd si sia ritrovato suo malgrado al governo, ha fatto sì che si trovasse un equilibrio che difficilmente verrà messo in discussione, tanto meno se la sua scadenza è l’elezione del nuovo Capo dello Stato. Molto probabile, anzi, che sarà questo Parlamento a eleggere il successore di Mattarella. Resta però un grosso punto interrogativo.
Quale?
È il M5s, un partito che conserva una rilevante rappresentanza parlamentare ma che sta progressivamente perdendo peso nella società. E quando si creano situazioni di questo tipo, è molto probabile che si cerchi di blindare questa situazione, garantendo l’attuale equilibrio parlamentare.
Cosa può metterlo in discussione?
C’è bisogno di una maggiore capacità politica. E la politica si divide in rapporto con l’opinione pubblica, capacità di fare propaganda, capacità mediatica, ma anche capacità di fare alleanze che ti permettano poi di esercitare la tua egemonia.
(Marco Biscella)