Alle elezioni regionali della Calabria diversi percettori del reddito di cittadinanza hanno votato per Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. L’hanno fatto anche con dichiarazioni anticipate, ben prima di recarsi alle urne il 26 gennaio scorso. Nel contempo vari precari, soprattutto della sanità e degli uffici regionali, hanno inviato segnalazioni a parlamentari calabresi del Movimento 5 Stelle, a proposito di presunti abusi o asserite forzature riguardanti assunzioni in periodo di campagna elettorale.
In Calabria il precariato è una costante, è un istituto spesso ignorato nelle analisi di flussi e risultati elettorali. Per esempio nel 2009 avvenne, a ridosso delle europee, la stabilizzazione di migliaia di operai idraulico-forestali dell’ex Fondo sollievo, che votarono in blocco per un candidato al Parlamento Ue, infine eletto. Dopo anni di incertezze, costoro, collocati al lavoro in seguito a proteste di massa, blocchi stradali, della nettezza urbana e di altri servizi, ottennero la contrattualizzazione a tempo indeterminato in un’agenzia regionale, poi trasformata in azienda pubblica della forestazione.
Nel 2005, invece, un pezzo delle centinaia di nuovi manifestanti vicini a esponenti del centrodestra calabrese – che con i ministeri delle Politiche agricole e del Welfare stavano costruendo percorsi per l’erogazione di redditi a manovali da piazzare nel decoro urbano – preferirono all’ultimo il centrosinistra, dato per vincente alle regionali di aprile, sul presupposto che sarebbe stato più utile nella prospettiva della stabilizzazione. La vicenda degli idraulico-forestali ha costituito un precedente, insomma, per altre categorie di precari, che hanno pensato – e credono – di poterne riprodurre il successo dello stipendio sicuro, cioè senza più interruzioni, “questue” e nodi in gola.
L’alternanza di centrosinistra e centrodestra al governo regionale della Calabria si spiega molto con la consapevolezza, da parte delle svariate categorie di precari, che la Regione ha un ruolo specifico: è ancora un postificio in un tessuto economico fragile, segnato da spopolamento crescente, buste paga fittizie, lavoro nero, carità parentale e diffusa arte di arrangiarsi. Del resto la Calabria è piena di enti strumentali e affini con dipendenti che non hanno mai partecipato a concorsi e rispondono ai politici che ne hanno determinato la chiamata diretta. Per non parlare delle strutture sanitarie pubbliche, in cui numerosi infermieri e operatori socio-sanitari in attesa dello scorrimento di graduatorie valide sono stati scavalcati da altri che avevano lavorato in ospedali per oltre 48 mesi ininterrotti, in virtù di proroghe caldeggiate da sindacati e partiti influenti quanto incoscienti.
Questo è il sistema calabrese e meridionale, che mortifica i giovani, le imprese, i saperi, le idee, il merito. Nel contesto il Movimento 5 Stelle non è apparso attrattivo perché incapace – e questo è un merito – di assicurare in Regione, specie in Calabria, la perpetuazione delle logiche, delle prassi e delle abitudini qui riassunte. Per converso, negli ultimi 7 anni i parlamentari 5 Stelle della Calabria hanno presentato circa mille denunce all’autorità giudiziaria, perlopiù su vizi dell’amministrazione regionale e grazie a “soffiate” di dirigenti, funzionari e impiegati scontentati dai partiti.
Inoltre i “paletti” del Reddito di cittadinanza hanno spinto tanti calabresi a puntare, a scommettere su altre misure di assistenza, in mano alla Regione, ritenute più remunerative anche in vista di processi di stabilizzazione collettiva. È il caso delle centinaia di disoccupati inseriti in una graduatoria per corsi semestrali di formazione all’impresa, più volte ritoccata fino alla definizione a breve distanza dalle elezioni regionali.
Ancora, il Movimento 5 Stelle non è stato in grado, almeno in Calabria, di selezionare un gruppo dirigente, di “produrre” figure politiche di carisma e spessore che non fossero gli eletti. Ciò perché è rimasto alle candidature online, che caricano sugli iscritti l’onere, la responsabilità delle decisioni e non permettono la maturazione graduale dei prescelti: dal consiglio di un Comune a quello della Regione e al Parlamento. Rimane ancora in piedi la mistica pentastellata dell’“uno vale uno”, come se un qualsiasi aspirante consigliere regionale potesse avere la stessa autorevolezza politica di uno Sciascia o di un Cacciari; per la verità nemmeno i concorrenti hanno simili profili nelle assemblee elettive.
Proprio questo dogma egualitario ha rappresentato un limite pesante del Movimento 5 Stelle, atteso che in una terra come la Calabria non si può pensare, come è successo negli ambienti grillini, intanto a Scalea (Cosenza), Comune già sciolto per infiltrazioni, che piste ciclabili e wi-fi gratuito siano soluzioni embrionali alla povertà, alla criminalità e alla marginalità della regione.
Oltre alla litigiosità interna, alla mancanza di organizzazione e di coordinamento, la perdita di consensi del Movimento 5 Stelle in Calabria dipende dalla gestione della sanità, commissariata dal governo centrale. L’anno scorso la ministra Giulia Grillo dichiarò, in un video su Facebook, che avrebbe realizzato una rivoluzione. I deputati M5s Dalila Nesci e Francesco Sapia si erano opposti con coraggio a diffuse pratiche clientelari in uffici e reparti, peraltro denunciando il premio di produttività assegnato a manager che invece avevano fatto registrare disavanzi di bilancio in 7 delle 9 aziende del Servizio sanitario calabrese.
Finì che fu approvato il “decreto Calabria”, poi convertito in legge. Il provvedimento tolse al governatore regionale il potere di nominare i vertici delle aziende del Ssr e dispose uno sblocco soltanto teorico del turnover del personale, visto che la Calabria non ha risorse per le insane gestioni del passato e perché la ripartizione del Fondo sanitario non si basa sui dati di morbilità e co-morbilità delle Regioni (e delle Province autonome di Trento e di Bolzano), il che ogni anno comporta trasferimenti minori di almeno 130 milioni rispetto al fabbisogno del proprio territorio. I commissari delle aziende del Ssr della Calabria sono stati nominati con grave, colpevole ritardo. Nella lunga fase di vuoto, con sostituti temporanei, il caos di gestione è aumentato e la struttura commissariale per la sanità non ha rimesso mano alla rete dell’assistenza ospedaliera, non ha ottenuto la riattivazione degli ospedali di Praia a Mare e Trebisacce, imposta da sentenze definitive, e non ha ancora completato la ricognizione sul fabbisogno di personale.
Dunque le promesse politiche della ministra Grillo si sono rivelate fumose e incoerenti: un boomerang. E infine M5s, nonostante la determinazione e la passione di alcuni suoi parlamentari, non ha bloccato il sistema di irregolarità e clientele che ha messo in crisi la Sanità calabrese, il cui bilancio annuo è di 3 miliardi e mezzo.
Con i prossimi “Stati generali” del Movimento 5 Stelle inizierà un capitolo tutto da scrivere. Che, per avere consenso, dovrà partire dalla questione meridionale, e in particolare da quella calabrese, e dalla meritocrazia.