Le due parti libiche, quella che fa capo ad Haftar e quella guidata da al Serraj, hanno concordato ieri al tavolo negoziale Onu di Ginevra di trasformare la “tregua” stabilita a Berlino in un “cessate il fuoco duraturo”. L’accordo resta pero da costruire in concreto. Questo compito tocca ora ai mediatori e alla politica.
Quello di ieri a Ginevra era il primo incontro del “Libya Joint Military Commission”, un organo di mediazione per le questioni militari che è stato sbloccato nella conferenza di Berlino, quando Haftar ha accettato di nominare i suoi 5 rappresentanti.
Secondo Paolo Quercia, docente di relazioni internazionali nell’Università di Perugia ed esperto di politica estera, la Germania ha assunto l’iniziativa politica e sta facendo valere il suo peso per evitare che nel Mediterraneo si creino equilibri geopolitici contrari ai suoi interessi. E lo fa con una strategia finalizzata all’interesse nazionale che l’europeismo ingenuo – quando non opportunistico e antinazionale – dell’Italia impedisce puntualmente di vedere: “la Germania si sta muovendo come membro del Consiglio di sicurezza e non come Unione Europea” spiega Quercia.
Senza una politica estera di respiro, come insegna il suo dossier migratorio, l’Italia può al massimo galleggiare. Una posizione che non è sostenibile nel lungo tempo, soprattuto quando si creano rapidamente nuovi equilibri.
Cosa rappresenta questo passaggio del summit di Ginevra?
Nonostante le due delegazioni non si siano incontrate nella stessa sala, in incontri separati hanno concordato di consolidare il precario cessate il fuoco in una tregua, ponendo le condizioni affinché ciò avvenga. Segno che qualcosa in Libia si sta muovendo.
Ma in che direzione?
Il tentativo di ingabbiare il conflitto libico in un nuovo equilibrio di potenze nel Mediterraneo sta progredendo.
Che relazione c’è tra la Conferenza di Berlino e l’iniziativa dell’Onu?
L’incontro di Ginevra di ieri va letto come seguito della conferenza di Berlino e quella di Berlino come seguito della conferenza di Mosca. L’iniziativa diplomatica di Berlino sta favorendo la creazione di un momento positivo sul dossier libico.
Dunque la Merkel ha svolto un ruolo fondamentale.
Sì. Berlino ha messo in gioco il suo peso strategico nel bilaterale con Mosca ed Ankara per colmare il gap di un’intesa che altrimenti sarebbe stata troppo debole. Berlino ha riesumato il processo politico delle Nazioni Unite in Libia rendendo possibile l’incontro di Ginevra. Senza l’iniziativa politica tedesca forse l’incontro di Ginevra non avrebbe probabilmente avuto luogo.
Perché parla di peso e ruolo strategico tedesco e non europeo?
Perché la Germania sulla Libia si sta muovendo come membro del Consiglio di Sicurezza e non come Unione Europea. L’Europa non è solo bloccata dalle divergenze italo-francesi, importanti ma a volte sopravvalutate. È bloccata anche dal problema greco-turco, tornato ad essere dirompente. Gli attori esterni del conflitto libico sono ormai Russia e Turchia mentre l’Europa è fuori.
Cosa avrebbe dovuto fare la Ue?
Doveva muoversi prima quando ancora c’erano margini. Dopo la Jugoslavia e la Siria, quella libica è l’ennesima crisi alle porte dell’Europa in cui l’Europa non riesce ad incidere. Purtroppo la guerra jugoslava avveniva trent’anni fa. In trent’anni non abbiamo costruito nulla di particolarmente efficace per gestire le crisi internazionali. Credo che la Germania stia prendendo atto di questo e si stia muovendo di conseguenza.
La Germania ha anche obiettivi di più ampio respiro?
A Berlino non credo che interessi più di tanto la Libia, quanto che il rapporto turco-russo vada in una direzione non pregiudizievole degli interessi tedeschi. La Germania ha capito che può inserirsi come terzo partner tra Mosca ed Ankara nel vuoto che si è creato nel Mediterraneo centro-orientale, dalla Libia alla Siria e ai Balcani.
In che modo la tregua, se si consolida, è conciliabile con gli obiettivi espansionistici di Haftar e dei suoi sponsor?
Gli sponsor di Haftar possono rinunciare a combattere se si crea un accordo quadro che soddisfa i loro interessi. Haftar senza il supporto degli sponsor non va lontano. Ed anche con tale supporto sembra non farcela. Questo non dipende solo dall’intervento turco: Haftar non è mai stato in grado di conquistare militarmente Tripoli e di tenerla.
E per quanto riguarda gli obiettivi di Serraj-Erdogan?
Per lo stesso motivo. Serraj non può resistere a lungo assediato nella capitale e senza petrolio, perde tanto le risorse per la Tripolitania quanto quelle che gli servono per tenere agganciata la Cirenaica. E rischia una rivolta.
Veniamo all’Italia. Cosa rappresenta il memorandum italo-libico in questa situazione?
È l’accordo di cooperazione con Serraj sulle migrazioni che si basa sulla collaborazione con la Guardia costiera libica. Alla fine, retorica a parte, tutti sono d’accordo sul mantenere questo accordo, in vigore dal 2017, firmato dal governo Gentiloni. Ora viene rinnovato per altri tre anni, ma nel frattempo la situazione è peggiorata, la Libia è in guerra, l’Unhcr ha abbandonato Tripoli. Alla fine quello che viene rinfacciato a Salvini in mare, ossia la chiusura dei porti, viene fatto a terra. Una grande lezione sulla distanza che esiste tra retorica politica e politica estera reale.
Intanto il ministro dell’Interno del governo di accordo nazionale (Gna) Fathi Bashagha è venuto in visita a Roma. Sappiamo che al centro dei colloqui c’è stata l’immigrazione.
È l’uomo forte di Tripoli, forse più forte dello stesso al Serraj. Bashagha è di Misurata ed è stato uno dei capi del consiglio militare di quelle città. È un ex colonnello dell’aeronautica che sta cercando di tenere sotto controllo le milizie, vero problema della capitale ma necessarie per la sua sicurezza. Per certi versi può essere considerato l’anti-Haftar. Secondo qualcuno potrebbe essere il successore di al Serraj. Spero che a Roma non abbiano parlato con lui solo della questione migratoria, che non è per noi l’unico punto di interesse della questione libica.
Ma la Libia ha ancora bisogno dell’Italia?
La Libia ha bisogno dell’Italia per sopravvivere come stato unitario ed indipendente. Certo, se continuiamo a perdere terreno…
Come definirebbe la linea politica dell’Italia rispetto ai due schieramenti libici e e quali margini di manovra ha il governo Conte?
È una linea indecisa, direi di galleggiamento. Riflette certamente il momento del Paese e la sua classe dirigente. Mi pare che speriamo di far sopravvivere i nostri interessi energetico-migatori indipendentemente da chi risulti vincitore nel conflitto libico. Ed anche se nessuno si affermerà in esso.
Non è detto che sia una posizione sbagliata.
Ma non è sostenibile troppo a lungo. O meglio, lo è finché c’è uno stallo sul terreno. Ma quando si ricreano differenti equilibri di potenza, e in questo momento si stanno ricreando, non va più bene. Devo dire che è una posizione strana per chi, come noi, ha tanto in ballo in questo conflitto. E sopratutto mi pare volta a tutelare i due beni materiali, energia e sicurezza, che più ci stanno a cuore, ma che non si pone il problema della perdita del rango e dello status dell’Italia in questa partita.
Tutelare quegli interessi non dovrebbe essere il nostro primo obiettivo?
Io credo invece che questi beni siano tutelabili nel momento in cui hai un disegno più ampio della sola tutela funzionale di questi stessi beni. Spesso la politica estera è fatta di posizioni da mantenere e non semplicemente di rendite da estrarre. Per lo meno non per Paesi della nostra taglia.
(Federico Ferraù)