La Commissione europea ha deciso di avviare una consultazione sulla revisione del Patto di stabilità e crescita. L’iniziativa è stata presentata ieri a Bruxelles da Valdis Dombrovskis e Paolo Gentiloni. “La stabilità resta un obiettivo, ma serve ugualmente sostegno alla crescita e alla mobilitazione di enormi investimenti per combattere i cambiamenti climatici”, ha detto il commissario agli Affari economici. La Commissione he predisposto delle domande cui potranno fornire le loro risposte, tra gli altri, Governi, Parlamenti, università ed economisti. Si prospettano quindi tempi lunghi prima della conclusione di questa consultazione. «Le agonie sono lunghe, l’Italia è in uno stato comatoso da 30 anni, quindi se aspetta ancora un po’ non cambia molto. Non sono quindi i tempi lunghi a preoccuparmi, quanto il fatto che temo che questa consultazione non porterà a nulla di concreto. Non credo che delle opinioni che verranno espresse si terrà molto conto, visto il peso che è stato dato in questi anni a quelle già ampiamente diffuse. Alla fine saranno i governi a decidere», ci dice Sergio Cesaratto, professore di Economia politica all’Università di Siena.
Professore, cosa pensa delle parole di Dombrovskis e Gentiloni?
Qualche timidissimo elemento positivo è emerso, quando è stato detto che l’Europa ha bisogno di politiche anti-cicliche e che il compito di contrastare la crisi è stato affidato alla politica monetaria, che può arrivare solo fino a un certo punto (tenere bassi il valore dell’euro e i tassi di interesse) in mancanza di una politica fiscale comune. Non c’è stata però nessuna critica alle politiche di austerità portate avanti in questi anni, anzi Gentiloni ha elogiato il lavoro di coordinamento delle politiche fiscali della Commissione europea dell’ultimo decennio. Inoltre, è parso anche di capire che ci sia l’intenzione di escludere dall’accesso ai fondi europei quei Paesi che non rispetteranno le regole di bilancio.
Si è parlato anche della possibilità di superare l’output gap, parametro molto discusso in questi anni…
Il problema è che se verrà seguita la proposta dell’European Fiscal Board, illustrata da Massimo Bordignon su lavoce.info, saremo punto daccapo: i Paesi più in difficoltà, come l’Italia, si troverebbero ad aver a che fare con l’ennesimo automatismo.
Perché?
Perché la regola richiede la stima di un reddito potenziale, quindi si andrebbe nuovamente a utilizzare, come nel caso dell’output gap, un parametro di discutibile determinazione. Inoltre, l’obiettivo sarebbe quello di ridurre la spesa, in base a questo reddito potenziale, per far scendere anche il debito pubblico. Il problema è che se scende la spesa finisce poi per diminuire anche la crescita. Questo perché da un punto di vista keynesiano sono le politiche economiche, dunque anche il tasso di crescita della spesa, a determinare il tasso potenziale (che non è un’entità autonoma). Siamo quindi lontani da ogni soluzione: vogliono diminuire le regole cervellotiche e ne mettono altre. Non capiscono che la politica economica non la si fa con le regole, ma è saggezza momento per momento, pragmatismo.
Il Premier Conte ha detto di aver parlato con Ursula von der Leyen della possibilità di rivedere il patto di stabilità e crescita e di aver suggerito di invertire “i poli concettuali”, facendolo diventare patto di crescita e stabilità. Cosa ne pensa?
Certo che dobbiamo privilegiare la crescita, che conduce alla stabilità, non il contrario come sostiene Dombrovskis. Ma al di là delle parole bisogna tradurre tutto questo in pratica. Un po’ come il discorso sugli investimenti verdi: è certo positivo che ci siano, ma ancora non si è capito come concretamente verranno resi possibili e se c’è il rischio concreto che alcuni Paesi, come l’Italia, non possano farli.
Secondo lei di cosa ha bisogno l’Italia per uscire da una situazione che la vede anche fanalino di coda della crescita in Europa?
L’Italia ha assolutamente bisogno di una garanzia europea sul debito pubblico. Del resto se siamo arrivati a questo livello sul Pil è anche per le politiche europee di austerità e la prolungata inazione della Bce. Il nostro Paese dovrebbe pagare gli stessi interessi sul debito di Francia e Germania. A quel punto avrebbe le risorse per politiche fiscali e potrebbe tranquillamente non far crescere il debito/Pil mettendo in atto gli interventi necessari alla crescita, compresi gli investimenti verdi. Del resto anche se ci fosse una golden rule sugli investimenti, ma non una garanzia europea sul debito, l’Italia non sarebbe protetta contro la vera sanzione, quella che può arrivare dai mercati.
(Lorenzo Torrisi)