Christine Lagarde, intervenendo ieri in audizione al Parlamento europeo, ha evidenziato come l’Eurozona continui “a richiedere il supporto della nostra politica monetaria, che fornisce uno scudo dai venti contrari globali”. La presidente della Bce ha però anche rassicurato i Paesi “falchi” circa l’attività di monitoraggio che verrà svolta sugli effetti collaterali della misure messe in campo dall’Eurotower. Si continua intanto a parlare della possibile modifica del Patto di stabilità e crescita dopo l’avvio della consultazione in materia da parte della Commissione europea. Abbiamo chiesto un commento a Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie.
Professore, ci potrà essere un cambiamento nell’atteggiamento e nelle misure della Bce?
Penso che ci sarà una sorta di continuità, perché è difficile che una Banca centrale, con una moneta giovane, che ha avuto successo con un certo indirizzo con cui ha acquistato credibilità, riesca a modificarlo senza rischi, soprattutto quando chi la guida non è allo stesso livello tecnico di chi l’ha preceduto. Inoltre, sebbene la Germania sia solida dal punto di vista fiscale, non è lo è altrettanto dal punto di vista monetario, visti i problemi delle sue banche. E anche la Francia ha bisogno di una politica monetaria permissiva. Quindi la politica monetaria non subirà cambiamenti.
Cosa pensa invece del dibattito aperto sulla revisione del Patto di stabilità e crescita?
Questo tema è legato al fatto che ci si è resi conto che le regole del Patto di stabilità e crescita funzionano male. Questo perché a livello europeo manca una politica fiscale. E non c’è una sorta di automatica simmetria tra le scelte dei singoli Paesi, per cui se uno adotta misure restrittive, un altro ne intraprende di espansive, cosa che porterebbe a una sorta di stabilità fiscale. Io stesso avevo parlato di questa mancanza di automatismo con Jacques Delors, ma mi spiegò che non si poteva aspettare e si arrivò quindi ai Trattati di Maastricht. Lui era ottimista e pensava che il problema sarebbe stato affrontato e risolto dopo. Così non è stato e ormai anche i tedeschi hanno capito che il sistema non funziona.
Tanto che i partiti anti-euro riscuotono consenso…
Sì, ma i tedeschi non arriveranno mai a uscire dall’euro o ne perderebbero tutti i vantaggi. Alla Germania conviene usufruire di una moneta il cui cambio è artificiosamente basso, grazie alle difficoltà degli altri Paesi. Se uscisse dall’euro perderebbe subito una grossa parte delle sue esportazioni.
Secondo lei come ci si muoverà per cambiare le regole del Patto di stabilità e crescita?
Non so bene cosa accadrà, perché non è chiaro come gli stessi tedeschi vogliano rivedere le regole. Finora si è parlato solo di questa bizzarra idea del Mes, che prevede nel suo statuto una politica fiscale non comune, ma condizionale. Il fatto è che il Mes potrà anche servire per i Paesi in crisi, ma nulla fa per le situazioni di difficoltà, come quella che per esempio attraversa l’Italia.
Il problema non sono quindi le regole in quanto tali, ma che occorrerebbe un coordinamento per evitare che tutto sia lasciato alla volontà dei singoli Paesi?
Esatto. Cambiare le regole serve poco, è la struttura che è sbagliata. Ci vorrebbe una politica fiscale europea. In questo modo un Paese in difficoltà potrebbe anche diminuire il suo deficit, sapendo che con la politica fiscale comune si stimolerebbe comunque la crescita. Il che aiuterebbe a migliorare i temuti parametri deficit/Pil e debito/Pil. Si badi bene: politica fiscale vuol dire investimenti in infrastrutture. Quindi la prima vera riforma europea non dovrebbe riguardare regole e tecnicismi, ma mettere in campo degli investimenti, evitando le chiacchiere sulla transizione energetica e i cambiamenti climatici senza far nulla di concreto.
E concretamente cosa si può fare?
Mettere in moto l’iniziativa privata, insieme a quella pubblica, con un finanziamento della Bce. Se il bilancio europeo deve essere in pareggio, nulla vieta di creare un fondo autonomo in grado di emettere titoli che verrebbero poi comprati dalla Banca centrale, liberando risorse per co-finanziamenti di investimenti dei privati, rendendoli convenienti perché da un lato non c’è il costo del denaro e dall’altro ci sono investimenti che rendono di più.
C’è la contezza nel Governo italiano della necessità di questi cambiamenti?
No, non solo perché per il Movimento 5 Stelle mira alla spesa e non alla crescita, come si è visto nel caso del Reddito di cittadinanza, ma anche perché nel Pd non ci si accorge che il problema non è solo il livello della spesa, ma anche la sua qualità: gli investimenti non sono mai risorse buttate via.
(Lorenzo Torrisi)