Si chiamano entrambi Matteo e in questo momento le rispettive traiettorie politiche scorrono su binari lontani fra di loro. Paralleli, quando non divergenti. Eppure in un futuro forse non proprio lontano le loro strade potrebbero finire per incrociarsi.
Il primo Matteo, ex premier ed ex sindaco di Firenze, non perde occasione per vantarsi di aver sfruttato il varco lasciato dall’altro Matteo, all’epoca ministro dell’Interno, per disarcionarlo e dar vita all’attuale governo. Per ribadire la sua centralità ha fatto una scissione nel Pd, che però non sta dando i risultati sperati. La casa madre recupera nei sondaggi, la sua creatura no. E pure il governo Conte 2 si sta rivelando drammaticamente al di sotto delle attese, con compagni di strada eccentrici e inconcludenti come i 5 Stelle. C’è la prescrizione come materia di scontro, ma non solo. Basti pensare alle distanze siderali fra i partners di governo sul ritiro delle concessioni autostradali. E l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Per mantenere il proprio ruolo determinante Renzi non ha altra scelta che tenere sempre tutti sulla corda. Probabilmente la riforma della prescrizione non causerà la caduta dell’esecutivo, ma il rischio potrebbe riproporsi tante altre volte su temi differenti. Può questo schema di tensione continua riproporsi per tutta la durata residua della legislatura? Possibile, ma è lecito dubitarne.
Renzi si è insomma trasformato in un fattore permanente di instabilità, e il rischio di finire tutti a sbattere rimane alto. Ora, tanti difetti si possono imputare a Renzi, tranne quello di non sapere vedere quale sia il proprio interesse. Può anche clamorosamente sbagliare valutazione, come fu per il referendum costituzionale del 2016, ma se allora avesse vinto, nessuno può negare che avrebbe avuto il paese in mano.
Oggi sembra essere interesse dei partiti che appaiono deboli nell’elettorato andare a votare il più tardi possibile. Vale per il Movimento 5 Stelle, per Forza Italia, ma anche per Italia Viva. Il combinato disposto fra taglio del numero dei parlamentari e sondaggi sconfortanti fa prevedere un magro bottino in termini di seggi per queste forze politiche. È per questo che tutti gli scenari da fantapolitica di cui si favoleggia dopo il voto emiliano partono dal presupposto che il ritorno alle urne sia lontano.
Anche l’altro Matteo, l’ex titolare del Viminale, lo ha capito e sta metabolizzando la sconfitta partendo proprio da questo postulato. Con i tempi accelerati della politica di oggi, però, tre anni di attesa del voto politico rappresentano una drammatica traversata del deserto, specie con il continuo incubo dell’assedio giudiziario.
Di fronte all’incredibile immobilismo del governo Conte, tanto sul piano interno quanto sul piano internazionale, viene da chiedersi se non possa esistere lo spazio per un rimescolamento delle carte, che abbia come fine ultimo spedire i 5 Stelle all’opposizione, in condizione di non produrre ulteriori danni. L’unico che può riuscire in questa impresa è proprio Renzi. E numerosi retroscena negli ultimi giorni indicano che dell’ipotesi si parla, con contatti fra campi avversi discreti ma costanti.
Circola persino il nome di un premier possibile, Giancarlo Giorgetti, che potrebbe guidare un governo imperniato sul centrodestra, cui Italia viva potrebbe portare il pacchetto decisivo di voti. Gli ostacoli alla realizzazione di questo schema sono numerosissimi, e vanno tenuti presenti. Si va dalle perplessità dello stesso Renzi a quelle di Salvini, sino a quelle della contrarissima Giorgia Meloni. L’unico sì che si può dare per scontato è quello di Berlusconi. Se però per il centrodestra questa costituisse l’unica alternativa all’opposizione sterile che si prospetta oggi, certi no potrebbero diventare meno granitici.
Naturalmente, la nascita di una simile inedita maggioranza, che consentirebbe a tanti parlamentari di non tornare a casa, potrebbe trovare una certa opposizione da parte del Quirinale. Ma nel tempo non breve che intercorre fra oggi e il ridisegno dei collegi, che seguirà il referendum confermativo del taglio dei parlamentari (29 marzo) un’eventuale crisi di governo andrebbe a cozzare contro l’impossibilità di fatto di sciogliere le Camere. E allora tutto potrebbe diventare possibile, anche ipotesi che oggi sembrano assolutamente fantapolitica.