È un punto di svolta nel destino politico di Matteo Salvini. Oggi il Senato dovrà votare per concedere o negare l’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro dell’Interno, che impedì lo sbarco della nave della guardia Costiera Gregoretti con a bordo 131 immigrati. Il 25 luglio 2019 la Gregoretti recuperò in acque Sar maltesi 50 migranti imbarcati dal peschereccio Giarratano e altri 91 da un pattugliatore della Guardia di finanza. Vennero fatti sbarcare a Pozzallo il 31 luglio e poi redistribuiti nei Paesi europei disponibili ad accoglierli. La Procura di Catania apre un’inchiesta per sequestro di persona, ma il 21 settembre il pm chiede l’archiviazione del procedimento. Non così il Tribunale dei ministri di Catania, che a inizio dicembre, ricevuti gli atti dell’inchiesta, li trasmette al Senato chiedendo di processare l’ex ministro dell’Interno.
Alla vigilia del voto in giunta per le autorizzazioni, lo scorso 20 gennaio, Salvini chiede ai senatori della Lega di votare per mandarlo a processo, convinto di avere agito nell’interesse pubblico e secondo le sue prerogative.
“L’ipotesi del sequestro non regge nella maniera più assoluta” spiega al Sussidiario Ginevra Cerrina Feroni, docente ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Firenze: “si è trattato di limitazione all libertà di circolazione, in modo conforme al dettato costituzionale”.
Ma il voto di oggi è doppiamente importante, secondo la giurista, perché ad essere in gioco non è solo Salvini ma l’autonomia della politica dalla magistratura. “Ne va del principio della separazione dei poteri, garanzia dello Stato di diritto”.
Tutto nasce da un divieto di sbarco. C’è o no c’è il reato di sequestro di persona?
È un’accusa basata su una fattispecie di reato a dir poco incongrua, addirittura bizzarra.
Perché?
Innanzitutto non è chiaro chi sarebbero stati gli esecutori materiali del sequestro. Chi concretamente ha posto in essere la condotta criminosa? L’equipaggio? Inoltre il sequestro di persona è un reato di carattere permanente, significa che l’offesa del bene giuridico si protrae nel tempo.
E quindi?
Il fatto è avvenuto sotto i riflettori del mondo. Sulla nave salirono anche rappresentanti delle istituzioni. A fronte di un episodio di quella gravità, al quale tutti hanno avuto modo di assistere, perché la polizia giudiziaria ad esempio non è intervenuta? Un sequestro di persona che nessuno avrebbe fatto nulla per impedire o interrompere.
Dunque se non è sequestro di persona, di che cosa si tratta?
Al massimo di un limitazione della libertà di circolazione, secondo quanto stabilito dall’articolo 16 della Costituzione. Se fosse arrivata per ipotesi un’altra nave disposta a trasferire i migranti altrove, il ministro dell’Interno lo avrebbe forse impedito? No di certo. L’ipotesi del sequestro non regge nella maniera più assoluta. E comunque le libertà, tutte le libertà, non sono mai assolute, ma incontrano dei limiti.
Il 20 gennaio scorso l’ex ministro Salvini ha chiesto a tutti componenti della Giunta per le immunità, compresi i senatori della Lega, di essere mandato a processo, nella convinzione di avere difeso l’interesse nazionale. È una scelta plausibile?
Sul piano politico il messaggio è chiaro: l’ex ministro ritiene di avere agito nell’interesse dell’Italia difendendone i confini, la sovranità, il diritto-dovere del governo di regolare il fenomeno migratorio e di reprimere il traffico di esseri umani da parte di organizzazioni criminali. Il sen. Salvini ritiene pertanto di non avere nulla da temere da un processo. Ma la questione è più complessa.
In che senso?
L’autorizzazione a procedere, che oggi il Senato dovrà concedere o negare, riguarda esattamente un punto specifico: non si entra nella fattispecie del reato di sequestro. Si deve soltanto giudicare se il ministro abbia agito ai sensi della legge costituzionale 1/1989 “per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo”. Su questo si vota.
Fermo restando che si può dissentire sulla decisione di chiudere i porti.
Certamente. La questione è divisiva e non riguarda solo l’Italia. Guardi cosa succede quotidianamente alle frontiere francesi. Ma che la decisione dell’ex ministro fosse atto politico – e per definizione libero nel fine e insindacabile dall’autorità giudiziaria – è un dato assolutamente evidente.
Adesso che abbiamo distinto i due aspetti del problema, confonderli indebitamente che cosa comporta?
Se oggi il Senato dovesse concedere l’autorizzazione, sarebbe un precedente pericoloso. Significherebbe che per non essere indagati dalla magistratura da oggi in poi si dovrebbe fare entrare in Italia, unico Paese al mondo, chiunque si presentasse alle frontiere senza documenti. La questione comunque prescinde dalla persona Matteo Salvini.
Ci spieghi bene questo punto.
Oggi la questione riguarda Salvini, ma domani potrebbe riguardare qualunque altro ministro al posto suo. Se questo accadesse, domani qualsiasi altro ministro dell’Interno o di altro settore potrebbe essere indagato dalla magistratura per avere appunto esercitato funzioni politiche.
Secondo lei come andrà la votazione?
Non sono in grado di fare previsioni, ma posso dire che personalizzare la vicenda è un grave errore che il Senato deve assolutamente evitare. Nell’autorizzazione a procedere di stamane non è in gioco l’avversario politico da abbattere, anche perché l’avversario politico non si abbatte per via giudiziaria, semmai lo si batte nelle urne. Ne va invece del principio della separazione dei poteri, postulato del moderno costituzionalismo e garanzia dello Stato di diritto. È su questo che il Senato dovrà pronunciarsi.
Conte ha accusato Salvini dicendo che la sua non è stata una scelta collegiale dell’esecutivo e ha distinto tra sbarco e ricollocazione: Salvini ha impedito lo sbarco, mentre il premier si occupava di trovare i paesi disposti ad accogliere.
È una motivazione che non convince dal punto di vista costituzionale. Secondo l’articolo 95 Cost. il Presidente del Consiglio dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Innanzitutto di fronte al Parlamento e in attuazione del mandato ricevuto. Se il Presidente del Consiglio reputa inaccettabile e ingiustificabile l’atto politico o amministrativo di un ministro, ha il potere, ai sensi della legge 400/1988, di sospenderne l’adozione.
Non c’è stato niente di tutto questo.
Infatti. Non soltanto Conte non ha disconosciuto ufficialmente l’operato di Salvini, ma nemmeno ha sospeso la sua azione. Se non lo ha fatto, implicitamente ha avallato l’operato di un ministro che agiva con il consenso di tutto il governo. Ricordiamoci dell’articolo 40 del codice penale: “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
In caso di autorizzazione a procedere, Salvini potrebbe incorrere nella legge Severino?
Incorrerebbe nelle due fattispecie previste: la sospensione, che ha carattere retroattivo, come ha detto la Corte costituzionale nel 2015, e che può concretizzarsi a seguito di condanna di primo grado. Può arrivare fino a 18 mesi. L’altra misura prevista è l’incandidabilità per coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva a più di 2 anni di reclusione per reati punibili almeno fino a 4 anni. Poiché il reato di sequestro aggravato è punibile da 3 a 15 anni, si rientra anche in questa ipotesi.
I tempi?
Non sono fattispecie immediate, ma potrebbero prima o poi arrivare. Se il Senato dovesse concedere l’autorizzazione a procedere, si aprirebbe un capitolo complesso, lungo e irto di insidie.
Lunedì, in un’intervista al Corriere, l’ex ministro Bongiorno ha messo in guardia Salvini dalla sua corsa verso l’autorizzazione. Sarebbe un errore. Lei cosa pensa?
Concordo con l’ex ministro Bongiorno che l’autorizzazione non vada concessa, a maggior ragione da parte dei propri parlamentari, neanche come messaggio politico simbolico. Possono trovarsi altre forme di protesta. La richiesta di autorizzazione a procedere su una questione come questa, che è politica per definizione, non sarebbe mai dovuta neppure arrivare nelle aule parlamentari. Sottoporre a sindacato giudiziario atti politici rischia di trasformare gli stessi atti giudiziari in atti politici. La deriva illiberale che ne potrebbe derivare è evidente.
In un modo o nell’altro, però, ci si è arrivati.
Ritengo che su questo gigantesco conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato si dovrà prima o poi pronunciare la Corte costituzionale.
(Federico Ferraù)