Caro direttore,
se mi è consentito vorrei condividere alcune riflessioni, da semplice cattolico né filosofo e tantomeno teologo, sul ponderoso articolo di Massimo Borghesi. Il punto sollevato è importante, in quanto riguarda l’atteggiamento che dovrebbe tenere un cattolico verso il Pontefice, che mi è stato insegnato dover essere sempre di rispetto e obbedienza ultima.
Mi è stato anche insegnato che ciò non esclude la possibilità di critica, sempre con il dovuto rispetto e nella sincera ricerca di una maggiore comprensione delle dichiarazioni e posizioni del Papa, come d’altro canto del proprio vescovo.
Né esclude che le caratteristiche umane dei vari Papi possano determinare maggiore o minore simpatia, purché sempre nel rispetto e nell’obbedienza. In ogni caso, rimane comunque condannabile il disprezzo.
L’ampia analisi di Borghesi mi pare concentrata sul contrasto ai Papi non per questioni dottrinali, ma essenzialmente sociali o politiche, nel senso più vero e profondo del termine. Cioè in un’area in cui dovrebbero essere lecite critiche, sempre nel rispetto e obbedienza ultima.
La mia perplessità deriva dal fatto che la condanna pare limitata a quelli che Borghesi definisce cattolici “conservatori” o “di destra”. Eppure, tutte le situazioni descritte nell’articolo potrebbero essere attribuite, con posizioni ribaltate, ai cattolici definiti “progressisti” o “di sinistra”. Per la verità, Borghesi riserva loro una frase dell’articolo: “Allo stesso modo non piacevano Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a coloro che erano orientati a sinistra”. Mi sembra francamente minimalista ridurre a un non gradimento gli attacchi condotti da quegli ambiti, soprattutto a Benedetto.
Mi colpisce soprattutto la demonizzazione di chi critica Papa Francesco, perché questo mi sembra il senso ultimo dell’articolo, e parlo di demonizzazione visti i termini usati da Borghesi: “il partito degli zeloti”, “prevalenza del giudizio politico su quello religioso” (Borghesi è riuscito a entrare nella coscienza di tutti quelli che definisce conservatori?), “sovranisti”, anti-europei e “fedeli soldati degli Usa”, oltreché “a fianco dello Stato di Israele”. Devo dedurre che se sostenessero, non dico Hamas, ma l’Olp sarebbero più autenticamente cattolici?
Personalmente considero Netanyahu una iattura non solo per Israele, così come non ho particolari simpatie per Trump, ma se le avessi avute per Clinton e Obama, come sembra avere Borghesi, sarei stato un cattolico migliore?
D’altro canto, lo stesso Borghesi non si è peritato di criticare in modo netto il Papa emerito, per essersi attribuito questo appellativo. In un precedente articolo sul Sussidiario circa la diatriba sul libro con il cardinal Sarah, Borghesi afferma: “Discutibile non perché egli non abbia il diritto di parlare o di pubblicare, ma per il titolo che, al momento dell’abdicazione, ha deciso di conservare: quello di Papa ‘emerito’. Un titolo che non ha precedenti nell’intera storia della Chiesa e sulla cui validità eminenti studiosi, come il gesuita Gianfranco Ghirlanda nel suo ‘Cessazione dell’ufficio di romano pontefice’ (La Civiltà Cattolica, 2 marzo 2013), hanno sollevato seri dubbi”.
Non credo sia l’intenzione di Borghesi, ma ho spesso l’impressione che si voglia suggerire a Papa Francesco di comportarsi come Bonifacio VIII fece con Celestino V.
Infine, non ho gli strumenti intellettuali per entrare in una discussione sulla “teologia politica” ma, senza dubbio per la mia incompetenza, ho l’impressione che in questa categoria rientri anche l’articolo di Borghesi. Al quale posso assicurare che, ogni mattina sul sagrato dopo la Messa, i problemi che vengono discussi sono altri e non credo che potrò aiutare i miei interlocutori, gente comune come me e che si ritrovano un po’ confusi, parlando loro di teologia politica e di cesaropapismo.