Primarie Usa. Dopo il voto nei primi due Stati, Iowa e New Hampshire, la corsa alla nomination in casa Democratica è al momento un testa a testa fra il 79enne Bernie Sanders, vecchio cuore socialdemocratico, e il 38enne Pete Buttigieg, il moderato. Ma siamo solo all’inizio, come sottolinea Alberto Battaglia, giornalista che lavora per Wall Street Italia e attento osservatore delle vicende americane, secondo il quale “è ancora presto per dire se Biden sarà destinato a scivolare ancora indietro: l’ex vice di Obama gode ancora di un vantaggio sugli altri candidati moderati”, mentre le chance di Bloomberg “potranno essere testate sul campo nel Super Tuesday, che lo vedranno protagonista il 3 marzo e sul quale sta investendo importanti cifre”. E aggiunge: “Non mi sentirei di escludere che la sfida, andando avanti, potrebbe diventare uno scontro Bloomberg-Sanders”.
Come da lei riportato, i sondaggi elaborati da RealClear Politics parlano di un sorpasso effettuato da Sanders nei confronti di Biden: su scala nazionale è avanti di oltre 4 punti percentuali. Ed è anche un ribaltamento, visto che un mese fa Biden era avanti del 10% su Sanders. Cosa ha decretato questo cambiamento?
Gli elementi oggettivi che noi giornalisti-osservatori abbiamo a disposizione per valutare sono pochi dati di fatto. Il primo: nel sorpasso di Sanders su Biden risulta più evidente il declino di quest’ultimo. Il secondo: la tendenza negativa per Biden che ha assunto una costanza apparentemente irreversibile da inizio anno. Questo mi porta a pensare che il sorpasso non sia dovuto ad una questione di programmi, che peraltro sono noti da tempo, bensì a fattori comunicativi e, negli ultimi giorni, ai risultati emersi in Iowa e New Hampshire.
Cosa del programma di Sanders piace di più: il servizio sanitario universale o le forti ridistribuzioni fiscali promesse? E gli americani non temono più il “socialdemocratico” Sanders?
La forza di Sanders resta la coerenza dell’uomo rispetto al suo programma: il passato del senatore del Vermont è effettivamente quello di un socialista convinto, il cui credo non è determinato solo dai più recenti sviluppi nella distribuzione della ricchezza. Oggi tutti i candidati democratici si dicono contro le diseguaglianze, ma tutti sanno bene chi ha propugnato questo discorso in tempi non sospetti. Si pensi al fatto che Sanders fu tra i giovani che sentirono con le loro orecchie il discorso di Martin Luther King “io ho un sogno” o che nel corso della sua vita ha lavorato anche come falegname.
Gli americani sono invece rimasti delusi da Biden?
Biden, nel corso del 2019, è stato colpito dal caso Ucraina e, soprattutto, sta conducendo una campagna fondata sulla “ricostruzione” della classe media e sulle sue presunte chance di vittoria finale su Trump – quindi sul voto utile. Ma sono argomenti poco affascinanti, innestati su una figura che non brilla certo per carisma personale. Se altri candidati moderati dovessero seriamente insidiare il terreno dei moderati rappresentato da Biden, ed è proprio quello che sta avvenendo, l’idea di votare Biden sulla base del concetto del “voto utile” si sgretolerebbe molto in fretta. Penso sia questa la spiegazione del repentino calo degli ultimi giorni. Ma è ancora presto per dire se Biden sarà destinato a scivolare ancora indietro: siamo all’inizio e l’ex vice di Obama gode ancora di un vantaggio sugli altri candidati moderati.
Sempre a proposito dei sondaggi, lei cita la crescita di Bloomberg, che adesso è terzo, e quella di Buttigieg, subito alle sue spalle con il 10,6%. Molti osservatori dicono che Bloomberg non riuscirà ad avere la nomination, perché fa troppo parte dell’establishment: è d’accordo?
Le chance di Bloomberg potranno essere testate sul campo nel Super Tuesday, che lo vedranno protagonista il 3 marzo e sul quale sta investendo importanti cifre. Per il momento si può solo dire che la sua contrapposizione con i candidati radicali, da un lato, e contro Trump, sia coerente con la sua storia e il suo status di miliardario. Per questo, non mi sentirei di escludere che la sfida, andando avanti, potrebbe diventare uno scontro Bloomberg-Sanders.
Buttigieg invece sembra piacere molto. Quali sono i suoi punti di forza? Conta anche la giovane età? E il fatto che sia cattolico e gay potrebbe negargli le possibilità di vittoria finale?
Se la contrapposizione alle politiche di Trump sembra essere l’unico collante fra tutti i candidati, Pete Buttigieg ha, secondo me, una dote in più: quella della trasversalità. Ha un programma moderato, ma offre anche risposte precise alle maggiori istanze sotto il profilo dell’eguaglianza; è figlio delle migliori università e dell’élite della consulenza (McKinsey), eppure viene da un Paese “di seconda linea” come l’Indiana e ha prestato servizio militare in Afghanistan. Sulla carta è il candidato che può amalgamare al meglio una visione di compromesso fra le due anime del partito e incarnare, grazie al fattore età, anche un’idea di rinnovamento. Il suo punto debole resta l’inesperienza nella politica a livello federale. E’ sicuramente il candidato che al momento dovrebbe attirare la maggiore attenzione degli osservatori.
Elizabeth Warren che chance ha?
L’elettorato più a sinistra sembra aver scelto Sanders e anche nei sondaggi il suo calo è in atto ormai da tempo. La cosa più logica, alla luce dei primi successi di Sanders, è che l’elettorato converga sul senatore del Vermont.
La corsa ai delegati è appena cominciata, Bloomberg non è ancora sceso in campo. Buttigieg è primo con 22 candidati, Sanders con 21. Bloomberg si aspetta grandi cose dal Tennessee e dal Texas: è così? La classifica verrà stravolta?
Prendiamo gli ultimi dati elaborati dal noto blog di statistiche e previsioni FiveThirtyEight. In Texas Biden resta davanti, anche se le dinamiche osservate sono le stesse: l’ex presidente Usa scende, mentre Bloomberg è in forte crescita. In Tennessee i consensi di Biden e Bloomberg sembrano molto vicini. Al momento questa lotta fra i moderati, come ho avuto modo di scrivere su Wall Street Italia, sta favorendo Sanders. Ma le ambiguità non credo dureranno fino alla fine: i moderati pur di ostacolare la vittoria finale di un radicale, potrebbero convergere sulla figura più vincente. Questa fase è particolarmente interessante, perché non è ancora chiaro quale sarà il moderato più competitivo. Mi aspetto che Buttigieg avrà presto più compagnia.
E Trump? Ha vinto la battaglia contro l’impeachment e la lotta alla disoccupazione va benissimo: sarà rieletto secondo lei? O ha dei punti deboli che potrebbero costargli la rielezione?
Premesso che anche i migliori esperti di previsioni politiche, e io non sono certo fra quelli, hanno fallito miseramente nel 2016 non azzeccando la clamorosa vittoria di Trump, credo che l’unica risposta seria a questa domanda sia che troppe variabili possono ancora influenzare, in questi mesi, l’esito delle elezioni.
E se si votasse oggi?
E’ chiaro che Trump avrebbe dalla sua i risultati dell’economia, una Cina di fatto piegata nel braccio di ferro sui dazi commerciali e una riforma fiscale che ha regalato a molti ceti benestanti un rally azionario in grado di strappare il sorriso anche a quegli investitori che hanno idee distanti dalle sue. Magari non lo si dice apertamente, ma credo che in molti, pur di vedere questa corsa continuare il più possibile, sarebbero disposti a tollerare le sue gaffe per altri quattro anni. Non dimentichiamo che negli Stati Uniti il 55% della popolazione possiede titoli azionari.
(Paolo Vites)