A volte ritornano. O a volte non se ne sono mai andati, come nel caso di Lorenzo Cesa e Gianfranco Rotondi, due democristiani che hanno attraversato la prima e la seconda repubblica e che oggi – stando ai rumor parlamentari – hanno in mano le chiavi della terza, o di ciò che ne rimane.
Ai due dioscuri democristiani – 59 anni Rotondi, 69 Cesa – si appella il gruppone dei parlamentari che non vogliono tornare a casa, quelli che “ogni governo è buono purché duri”. Renzi ha scosso le certezze di deputati e senatori, la placida tranquillità del popolo dei mutui contratti al Banco di Napoli filiale numero uno, con garanzia di indennità e buona uscita parlamentare. Dapprincipio sembrava che Renzi facesse tattica, poi Conte ha fatto uscire dichiarazioni di agenzia che preludono alla crisi di governo. Il premier ha strattonato Renzi con toni e parole volti più a cacciarlo fuori dalla maggioranza che a recuperarlo. E nei corridoi di Camera e Senato è scattato l’allarme: tocca sostituire Renzi o si va al voto a giugno.
E tutti a cercare Cesa, segretario di un cespuglio Dc da zero virgola e mandato in malora da Casini che lo svendette a Monti quando sembrava De Gasperi. Ma perché cercano Cesa? Semplice: perché ha tre senatori e lo scudocrociato, con annesso diritto di presentare liste senza firme. E Conte – da marpione andreottiano quale si è rivelato – capisce bene che una operazione responsabili non gli riesce affatto, al contrario reclutare deputati e senatori e farli accomodare nel più antico partito italiano è operazione più alta e nobile.
Del resto ogni giorno Rotondi detta alle agenzie un proclama secondo cui starebbe tornando la Dc, un giorno la chiama Dc, l’altro Ppi, si vede che il premier l’ha preso in parola e ha concluso che quello è il taxi che gli serve per dare coraggio a deputati e senatori del centrodestra.
Al Senato hanno abboccato i carfagnani delusi dalla Carfagna che se li è venduti alla bega campana e loro prontamente ora vendono lei alla nobile causa della salvezza della legislatura.
Cesa parla poco, la sua è vecchia scuola: riceve senatori e deputati, ascolta, promette, settimana scorsa si è pure fatto vedere ad Arcore.
Chi parla di più è Rotondi, ma solo sulle agenzie. Radioparlamento dice che in questa fase l’ostacolo è proprio lui, Gianfranco Rotondi che frena sull’operazione: pretenderebbe addirittura l’adesione del premier al Ppe, in pratica una discesa in campo bella e buona di Conte a capo del nuovo Partito Popolare.
A palazzo Chigi dicono che il premier ci pensa pure, ma a fine legislatura, non adesso.
Dunque rimane solo da gustare il paradosso del governo dei populisti e del movimento anticasta appesi alle decisioni degli ultimi democristiani del Parlamento.