L’evidenza è che tutti, sotto sotto, credono: sarà mai possibile immaginare un’esistenza senza un credo? Il fatto, buffo ed eccelso, è che tutto dipenderà da che cosa si crede, a chi uno decide di affidare la propria vita: non può esistere persona che non abbia una visione della propria esistenza. “Se l’uomo vive – è una delle espressioni di Tolstoj a me più care – significa che in qualcosa crede. Se non credesse che bisogna vivere per qualcosa, non vivrebbe”.
Ereditiamo la fede, sovente, come si eredita un terreno, un casato, un titolo nobiliare, dei libri, il denaro. Una fede ereditaria, quasi per censo: perché diventi di proprietà, però, sarà necessario rimetterla in gioco, per poter dire un giorno di possederla. Il che è la parte più difficile, quella sempre a rischio di fallimento: basterà, certe volte, un solo minuto di speranza per oscurare ventiquattro ore di dubbi.
“Senza fede, dunque, non si vive?”, obietterà qualcuno. Si può anche non credere a niente, a nessuno, ma ci sono dei momenti nella vita in cui si è disposti a pregare il dio del primo capitello che incontriamo per strada. Non è vero, dunque, che chi non crede in Dio crede nel suo opposto, lo stupido del Demonio: è vero, invece, che sarà disposto a credere un po’ a tutto quello che gli diranno. Si fiderà e affiderà a tutto quello che gli si affaccerà di fronte. All’ultimo, senza tempo di rifletterci.
L’alternativa, riflette Tolstoj, è chiara: “Se (l’uomo) non vede e non capisce l’illusorietà del finito, egli crede in questo finito; se capisce l’illusorietà del finito, egli deve credere nell’infinito”. Dunque? “Senza la fede non si può vivere” è la sua conclusione.
Oggi che il cristianesimo sta tornando ad essere minoranza, la cosa bella è l’opportunità che ne scaturisce: testimoniare una fede vissuta nella libertà, per amore; non per caso o necessità. Io credo, dunque. Credo nella vita, la qual cosa è già una grande cosa: la vita è il dono che Dio ci ha fatto, il modo in cui la viviamo è il dono che noi facciamo a Dio. E di fronte all’assurdo di certe giornate, continuo a sfidare l’assurdo per andare a snidare il senso nascosto: “Chi crede sa che il deserto può fiorire in una notte” (P. Mazzolari). Arrendersi, in quel caso, significherebbe rischiare di farlo magari un’ora prima del miracolo.
La fede che non dubita, però, non è vera fede: il dubbio, in certi frangenti della vita, è un antidoto all’abitudine, la vera morte di ogni credo. È nel punto in cui la speranza rischia di mutarsi in disperazione che nasce la fede. In “Io credo” – un nuovo programma di TV2000 che andrà in onda da domani, alle 21.05, per otto lunedì consecutivi – la sfida sarà d’interrogarci sul credo dell’uomo partendo dal credo cristiano, la più maestosa professione di fede nell’invisibile: “Credo in un solo Dio, in Gesù Cristo, nello Spirito Santo”. La più audace cambiale in bianco firmata per amore: “Credo la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna” (Amen). Dove l’amen non è per nulla sinonimo di rassegnazione bensì di giuramento: “Credo che, credendo questo, la mia vita è una storia tutta diversa da ciò che sarebbe se non credessi in ciò che credo”. Dio è sensibile al cuore.
Il Credo in un’epoca distratta: “Non c’è più fede!”, dice qualcuno allargando le braccia. Nulla di più inesatto: la fede, per chi l’ha avuta in dono, non si perde. La cosa più triste che possa accadere è che la fede cessi di plasmare la vita: un peso morto, forse, ma che facendo sentire il suo peso ci ricorda la leggerezza di un dono sempre passibile d’essere rinfrescato, ringiovanito.
È passato il tempo dell’arroganza cristiana: “Fine della vecchia arroganza cristiana”, sembra essere il lascito in diretta di un magistero come quello di Francesco. “Dimostratemi che Dio esiste!”, chiede qualcuno. Dimostrare, però, è negare la fede: e senza fede Dio non è niente. L’unica dimostrazione valida, in tempo d’incredulità, è giurare a tutti “Io credo in Dio” senza l’uso di parole. Con la contaminazione della vita, aperti al mistero, senza scartarlo a priori. Il meglio è sempre la cosa più difficile.
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“Io credo” è il nuovo programma firmato da M. Pozza e A. Salvadore in onda da lunedì 17 febbraio (21.05) su TV2000. Otto puntate, otto conversazioni – con Salvatore Natoli, Martina Colombari, Paolo Bonolis, Paolo Rumiz, Carolina Kostner, Giovanni Bachelet, Massimo Bottura e Fausto Bertinotti – e otto storie di comunità, tra le quali quella del Cuamm di Padova. Ospite fisso di don Marco sarà Papa Francesco con il quale ha scritto il libro “Io credo, noi crediamo” (Lev-Rizzoli) in uscita in Italia il 3 marzo prossimo.