C’è un’immagine che esprime plasticamente e drammaticamente il cambiamento d’epoca che stanno attraversando le società occidentali. In occasione del discorso sullo stato dell’Unione, giusto qualche giorno fa, il presidente Donald Trump ha rifiutato, alla fine, di stringere la mano alla speaker della Camera, la democratica Nancy Pelosi. In precedenza, mentre il Presidente raccoglieva gli applausi per il suo rapporto, la leader democratica aveva strappato vistosamente, in diretta televisiva, i fogli scritti del discorso di Trump.
Sembrava passato un secolo, non venti anni, dalle elezioni americane del 2000, quando George W, Bush prevalse di soli 537 voti su Al Gore in Florida, Stato in quell’occasione decisivo per l’elezione alla Casa Bianca. La Corte Suprema degli Stati Uniti si oppose al riconteggio delle schede, ma Al Gore non gridò al broglio elettorale e, come da consuetudine, accettò la sconfitta con la telefonata di rito all’avversario e invitò i suoi sostenitori ad accantonare ogni rancore di parte, avviando “il processo di conciliazione” per il bene del Paese.
L’appartenenza alla nazione americana, alla casa comune che nessuna ideologia aveva scalfito, sembra rotta, quasi frantumata. E la spaccatura è ben più profonda della sola radicale divisione politica.
Per questa ragione gli organizzatori del New York Encounter hanno dato il titolo dell’edizione 2020 del weekend 14-16 febbraio, di “Crossing the Divide”, attraversare la divisione.
Lo spettacolo che ha aperto la manifestazione “Bolle, Pionieri, e la Ragazza di Hong Kong” ha cercato di approfondire, con spunti evocativi, la travagliata storia americana, intessuta di grandi speranze e di ferite mai veramente rimarginate.
Sul palco, nove musicisti e quattro attori narrano momenti dalla vita di uomini e di donne alle prese con la quotidianità e con l’irrompere dell’imprevisto. Si parte dall'”american dream”, richiamato addirittura nella Costituzione americana: l’uomo è dotato di certi inalienabili diritti, tra cui vi sono la vita, la libertà, e il perseguimento della felicità. La nazione americana è pensata per sostenere questo ideale.
Lo si sente evocare dalle madri delle famiglie di pionieri che si stabiliscono nella prateria del Nebraska; lo rieccheggia l’astronauta che ritorna dal viaggio sulla luna: uomini e donne che partono alla ricerca di qualcosa di grande e si imbattono nell’immensità della natura e nella misteriosa esperienza di una solitudine che rende più acuta la ricerca dell’infinito. Neanche la schiavitù uccide questa domanda: gli stessi sogni e desideri, lo stesso anelito di libertà si ritrovano nei racconti degli ex-schiavi intervistati.
Qualcosa accade nella società americana che infrange questo ottimismo radicato. È l’11 settembre, raccontato nello spettacolo attraverso articoli, riflessioni e brani di romanzi scritti poco tempo dopo l’attacco terroristico. È un trauma che disillude tragicamente gli americani, facendo loro pensare che il sogno è in realtà un’utopia. È il simbolo di un brusco risveglio, del crollo degli ideali religiosi, in un contesto di disuguaglianza che cresce tra consumismo e povertà estrema di tanti.
La crisi incrina la fiducia anche verso una scalata sociale ed economica. Tanti frammenti si susseguono nello spettacolo, esprimendo emblematicamente l’angoscia del mondo moderno, nell’America di oggi. È la ferita che attanaglia il cuore di ognuno e spinge tanti a chiudersi in una bolla che li difenda.
Lo spettacolo non fa l’errore di terminare con un discorso tranquillizzante: mostra solo qualcuno che non si arrende.
È la vecchia schiava liberata: “Dio è stato tanto buono con me, a farmi vivere tutti questi anni. Voglio solo esser pronta a incontrarlo quando Lui è pronto per me. L’unico problema per me sarà amare i bianchi. Hanno trattato così male la mia razza. Il mio pastore mi dice sempre che devo perdonarli e amarli se voglio andare in cielo. Ma, tesoro, per quello mi ci vorrà tutta la vita. Che Dio mi faccia vivere tanto o poco, comunque sarà un compito duro”. È lo scrittore James Baldwin che ricorda come tutto può ripartire. Basta trovare un amore. E se ad esempio Hong Kong non dovesse significare nulla, incontrando una ragazza che viene da lì, Hong Kong diventa improvvisamente importante al punto che ci si andrebbe anche a nuoto.
Sarà vero? La risposta al New York Encounter non sta solo in spettacoli, incontri, mostre ma la si intravvede guardando tante persone che lo affollano. Sono gli ingegneri, impegnati in progetti aerospaziali, che non limitano il loro lavoro alla capacità professionale, ma guardando il cielo infinito, si pongono le stesse domande sul senso del tutto che si ponevano i primi astronauti. Sono gli scienziati che non smettono di chiedersi come poter usare l’intelligenza artificiale per migliorare la qualità della vita. Sono i ricercatori impegnati a trovare nuove cure per le malattie, spinti dal desiderio di alleviare le pene delle persone. Sono gli artisti che ricercano ancora la bellezza in tutte le forme possibili.
È la ragazza dell’esercito che addestrando i soldati si chiede come il suo lavoro possa non essere separato dalla fede che vive. È il gruppo di persone che a New York dà un pasto caldo agli homeless o quello che a Los Angeles fa lavorare i reduci di guerra abbandonati da tutti, perché anche chi non ha vinto nella vita ha diritto alla nostra attenzione e al nostro amore. Sono i giovani che, finito il college, non vogliono scegliere tra lavoro e affetti. Sono i padri, le madri e tanti insegnanti che si interrogano insieme su cosa significhi educare. Sono i volontari di ogni luogo d’America o coloro che vivono un’esperienza religiosa, quando generano comunità in cui ci si accoglie.