Siamo davvero a un passo dall’accordo sul salario minimo? Sembrerebbe di sì visto che ad annunciarlo è stata la stessa ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, che ha parlato di passi avanti sulla soglia minima di retribuzione. Pur aggiungendo, con una certa prudenza, che siamo ancora lontani dai 9 euro attesi.
Non ci sorprende: perché una volta avviata la discussione, e passati dal livello ideologico a quello concreto contrattuale, immediatamente i nodi veri vengono al pettine metaforico. Troppo bella l’occasione per legalizzare i salari sottopagati che in tante aziende vengono applicati. In effetti, invece dei 9 euro lordi di cui si è discusso all’inizio della trattativa, si sta contrattando per una soglia minima di 7-8 euro. In linea con la media dei maggiori Paesi europei, si dice: ma da tale media si è esclusa, guarda un po’, la Germania. Così, siccome i salari minimi nei Paesi Ocse sono compresi tra il 40% e 60% del salario mediano, se ne è concluso che, nell’italico caso, oggi i lavoratori sottoretribuiti possono sperare in un salario orario che si collocherà tra i 5 e 7 euro. Come dire che per loro poco o nulla cambierà!
Sul problema, in ogni caso, si stanno aggrovigliando anche le parti sociali europee, visto che il salario minimo europeo è una delle priorità della nuova Commissione e la presidente Ursula von der Leyen l’ha messo come obiettivo da conseguire in quegli Stati dove ancora manca. Tra cui appunto l’Italia.
In questo caso stando alle indiscrezioni circolate il livello minimo per l’Italia dovrebbe essere intorno ai 950 euro mensili lordi, cifra che scaturisce partendo dal salario medio mensile e rapportandolo al 60%. Somma che al netto coincide, ma guarda un po’, ancora una volta, con troppi mini-salari già oggi in essere.
Orbene, l’Italia, insieme a Danimarca, Finlandia, Svezia, Austria e Cipro, è tra i pochi nell’Ue a non avere una base comune, ma da noi, come negli altri Paesi, funzionano i minimi stabiliti dai vari contratti collettivi. Di fatto oggi gli operai agricoli e i lavoratori domestici hanno un salario minimo inferiore ai 950 euro: questo problema è accentuato dal fatto che la pressione fiscale tende paradossalmente a colpire proprio quelle fasce sociali più deboli, composte da chi lavora e si colloca nei redditi da lavoro più bassi.
A ogni modo presto Bruxelles dunque avvierà una consultazione pubblica. Ma deve far i conti con una situazione che è tutto tranne che tranquilla, posto che per adesso i Paesi nordici hanno detto che si opporranno al salario minimo. Dal loro punto di vista, infatti, esso non offrirebbe garanzie sufficienti al mantenimento di un sistema come quello oggi presente nei loro Stati e che è fondato sulla contrattazione collettiva che potrebbe subire colpi mortali con l’introduzione di un salario minimo “rigido” a livello Ue.
A ciò si aggiunga che i salari minimi più bassi nell’Ue rappresentano già oggi oltre il 50% del salario mediano dei Paesi interessati (Bulgaria, Lettonia, Romania e Ungheria), il che significa che la soglia del 60% non produrrebbe grandi effetti. Tanto più che il costo della vita è diverso per ogni singolo Paese Ue e che quindi i salari non andrebbero visti solo in termini assoluti, ma anche in relazione al potere di acquisto.
Facciamo un esempio. Il salario minimo in Bulgaria è di 286 euro (il più basso in Ue), mentre in Lussemburgo è di 2.071 (il più alto tra gli Stati membri), ma una forbice tanto ampia è in parte ingannevole. La forbice, infatti, si dimezza quando si parametrano le retribuzioni al rispettivo costo della vita. Difficile quindi stabilire qual è il salario minimo europeo, col risultato che qualsiasi direttiva venga adottata rischia di creare difficoltà ingestibili a livello economico creando altresì scompensi nel mondo del lavoro.
Torniamo allora all’Italia dove i sindacati, in particolare la Cisl la cui posizione su questo argomento è tanto netta quanto dura, spingono sui contratti nazionali e anche Confindustria sembra orientata a maggiori controlli per il rispetto dei contratti di lavoro piuttosto che fissare il salario minimo a 9 euro, una cifra che potrebbe essere insostenibile per le pmi.
E allora? Allora non è che ha ragione Annamaria Furlan della Cisl quando sottolinea il rischio di sfondare al ribasso e dunque penalizzare migliaia di lavoratori e laddove predice che il minimo di legge rischia di aumentare e non di diminuire i lavoratori poveri in Italia? Davvero il problema dei bassi salari si risolve ope legis e non invece con un combinato disposto tra contrattazione nazionale, riduzione dei contratti fantasmi e controllo delle aree grigie ove navigano liberi, sicuri e impuniti troppi squali e pescecani?