“Una pandemia è più di una malattia. Mette alla prova il sistema sanitario di una società, il suo governo e i suoi politici, la sua economia”, ha scritto Zanny Minton Beddoes direttrice dell’Economist in riferimento alla crisi da coronavirus. E richiede, aggiungiamo noi, coraggio, visione e determinazione. Con l’audacia di prendere misure fuori dal comune. L’Italia affronta questa prova mettendo in luce i suoi punti di forza e di debolezza. Tra i primi c’è senza dubbio un sistema sanitario che ha dato risultati rimarchevoli, si pensi allo Spallanzani di Roma o al Sacco di Milano, ma anche al personale medico che sta lottando nell’epicentro della epidemia mettendo a repentaglio la propria salute. Tra i punti deboli c’è il governo dell’emergenza che ha oscillato tra l’allarme generale e la voglia di tornare al più presto alla normalità. L’uno e l’altro atteggiamento sono chiaramente sbagliati. Tra chiudere tutto subito e riaprire come se nulla fosse, o quasi, ci dovrebbe essere infatti una via di mezzo, quella suggerita da un atteggiamento responsabile e razionale.
Questo stesso andamento a zig zag si rispecchia nelle misure prese per affrontare le conseguenze economiche e sociali del coronavirus. Si tratta di primi passi, sollievi immediati come il rinvio dei pagamenti o il ricorso più facile alla cassa integrazione, in attesa di provvedimenti di più ampia portata annunciati per la settimana prossima. Questo secondo pacchetto dovrebbe contenere un indennizzo diretto alle imprese sotto forma di credito d’imposta calcolato sulla perdita di fatturato rispetto al triennio precedente. Le perdite finora sono davvero ingenti, basti pensare al crollo delle prenotazioni negli alberghi o gli effetti sui trasporti nella prima settimana di emergenza: meno 60% per i treni, 50% per i taxi, 40% per bus e metro, 30% per i viaggi aerei (un colpo quest’ultimo destinato a rivelarsi mortale per l’Alitalia). Senza contare il taglio dei risparmi di chi ha investito in borsa. Anche in questo caso, si può dire che i valori azionari avevano raggiunto livelli troppo alti e si tratta di una correzione, speriamo che sia così e vedremo domani se la reazione è stata isterica oppure se ci troviamo in pieno panico. In ogni caso, la mazzata c’è.
Sono messe sotto pressione le banche centrali alle quali si chiede di stampare più moneta per evitare una crisi di liquidità. La Federal Reserve si è detta pronta ad abbassare i tassi d’interesse se necessario. La Bce non ha molto spazio di manovra con un costo del denaro ormai sotto zero (il tasso sui depositi è a meno 0,50%). Potrebbe comprare altri titoli pubblici e privati, ma per il momento aspetta, convinta che il coronavirus non avrà un impatto di lungo termine. Incrociamo le dita. In ogni caso è chiaro che il peso graverà sulle spalle della politica fiscale.
Che cosa potrà fare il Governo italiano? È partita già la richiesta di maggiore flessibilità, cioè di allargare ancora il disavanzo pubblico in modo da consentire più spesa di natura assistenziale e più investimenti. La tentazione di erogazioni clientelari è forte e bisogna stoppare ogni manovra del genere. Quanto al rilancio degli investimenti pubblici, era un impegno preso ben prima che scoppiasse l’epidemia; affinché sia efficace deve essere senza dubbio più ampio e rapido di quel che era stato previsto. Tuttavia siamo ancora dentro un percorso ordinario. Più spesa per consumi e per investimenti era quel che andava fatto per evitare la recessione quando il prodotto lordo viaggiava attorno a un misero 0,3% in più. Se è vero che la botta potrà arrivare a tre punti di Pil, ordinarie manovre anti-cicliche non basteranno.
Quel che manca finora è la capacità di immaginare qualcosa di veramente nuovo ed efficace non solo nel breve, ma anche nel medio termine. Prendiamo gli investimenti. Sbloccare i cantieri è una condizione necessaria, ma non sarà sufficiente. Anche perché le infrastrutture di cui c’è bisogno di fronte a una crisi come quella del coronavirus sono di natura in parte nuova. Ci vorrebbe una sorta di new deal sanitario che mobiliti uomini, capitali, istituzioni pubbliche e private. Lo Stato non può fare tutto, anzi il suo compito dovrebbe essere più quello di guidare, organizzare, facilitare. Bisognerebbe chiamare a raccolta le risorse delle fondazioni bancarie, le aziende private da quelle farmaceutiche che hanno dimostrato in questi anni la loro vitalità alle cliniche e agli ospedali privati, i centri di ricerca, le università e le scuole professionali.
Lo scopo immediato è essere pronti a un eventuale peggioramento della crisi avendo a disposizione tutto quel che serve, dai posti letto alle mascherine, tanto per capirci, ma l’obiettivo di fondo è cogliere la crisi come una occasione di rilancio, trasformando l’Italia nel suo insieme in un centro di eccellenza per affrontare una delle sfide più grandi: la lotta dell’uomo contro i suo nemici invisibili e oggi sconosciuti. Tra le grandi emergenze del nuovo secolo questa è certamente la più immediata e drammatica. È chiaro che nessun Paese può combattere e vincere da solo, ma ciascun Governo ha il dovere di mettere in campo il meglio che può offrire in termini non solo di assistenza, di controllo, di prevenzione, ma di programmazione e direzione consapevole.
C’è bisogno di cooperazione internazionale, dunque sono comprensibili gli appelli all’Unione europea, alle istituzioni, agli altri governi. Ma c’è bisogno innanzitutto di collaborazione interna. Trarre vantaggio per se stesso dal coronavirus o da qualsiasi tragedia collettiva è quanto di più ignobile un politico possa fare.