“Si crede difficilmente ai flagelli – scriveva Albert Camus – quando ti piombano sulla testa. Nel mondo, proseguiva Camus, ci sono state in egual numero pestilenze e guerre, e tuttavia pestilenze e guerre colgono gli uomini sempre impreparati”. Oggi tocca fare i conti con il coronavirus e i segni della impreparazione si sono manifestati e sono stati anche gravi. Non è il caso tuttavia di recriminare sulle “cose che non si dovevano fare per evitare di portare il Paese sull’orlo una crisi di nervi”. E sono tante. Importante è riuscire a ritrovare un filo di razionalità nell’azione del governo e nei comportamenti delle varie istituzioni e a dare la giusta misura alle cose. Vanno in particolare eliminate le frantumazioni campanilistiche nei provvedimenti da adottare, nei comportamenti da avere per contenere il contagio: l’attuale dualismo Stato-Regioni ha mostrato, in una questione delicata come l’emergenza sanitaria, di non poter funzionare. Insomma è indispensabile superare un procedere ondivago da parte dell’autorità politica. Questa la direzione in cui speditamente procedere.
In questo quadro vorrei svolgere alcune considerazioni su due questioni. Le conseguenze economiche del coronavirus e i comportamenti della politica.
L’impatto economico dell’epidemia in Italia dipenderà dalla durata e dall’estensione del contagio nel nostro Paese, in Cina e nel mondo. C’è chi sostiene che le conseguenze saranno pari a quelle prodotte dalla crisi del 2008. In ogni caso l’epidemia è mondiale e le conseguenze economiche si produrranno su scala globale: c’è da auspicare che si rafforzi tale consapevolezza in particolare nei governi dei grandi paesi europei, dalla Francia alla Germania al Regno Unito.
Non si può rispondere alla sfida di un’epidemia senza tale consapevolezza. Del resto, le Borse mondiali, incalzate dalla diffusione del coronavirus, hanno bruciato 6mila miliardi di capitalizzazione, 5mila solo nell’ultima settimana, la peggiore per i mercati dall’esplosione della grande crisi finanziaria. Preoccupa la paralisi economica della Cina, i cui primi partner europei nell’export sono Olanda, Germania e Gran Bretagna. La Cina ha rivelato l’altro giorno una contrazione senza pari dell’attività industriale.
È difficile misurare allo stato le conseguenze sul piano dei comportamenti di consumo e investimento a livello globale, anche se con il prolungarsi e l’espandersi dell’epidemia le conseguenze sia su consumi che su investimenti si annunciano pesanti. Per l’Italia ciò significa un crollo di domanda internazionale nei diversi settori in cui è interessato il nostro paese. Alla riduzione della domanda internazionale si accompagnerà una riduzione della domanda interna prodotta dal rallentamento della produzione nelle aree più avanzate del paese nella manifattura e nei servizi che ruotano intorno ad essa, dalla logistica al turismo. Per quanto riguarda il turismo, le Regioni meridionali, che avevano conosciuto negli ultimi tempi un notevole incremento, pagheranno un prezzo salato. Questo si abbatterà su un’economia in condizioni di sostanziale stagnazione, con una previsione di crescita, prima del coronavirus, di appena lo 0,2%.
Come fronteggiare e con quali misure una situazione del genere? Occorrono investimenti pubblici e riforme per rilanciare gli investimenti privati. L’Europa è chiamata a una grande prova: come efficacemente scrive Maurizio Ferrera occorre fare whatever it takes (tutto ciò che è necessario, come disse Mario Draghi nel 2012 durante la crisi dell’euro) per combattere l’epidemia e invertire il ciclo recessivo. Il Green Deal può essere il grande choc positivo che serve all’Europa e all’Italia.
Nel nostro Paese occorre agire con misure di medio e breve termine. La via maestra è il rilancio della domanda interna. Si tratta di sostenere gli investimenti per infrastrutture che dipendono meno dalla domanda estera e che hanno un enorme indotto italiano. Da questo punto di vista occorrono misure straordinarie che semplifichino e accelerino gli appalti. Occorre sbloccare i progetti di investimento incagliati dalle procedure vigenti. Va valutata la sospensione del codice degli appalti e l’adozione della direttiva europea in attesa di una riforma organica del settore che si attende da anni. Lo stanziamento di risorse per i Comuni da impegnare in piani di rigenerazione urbana. L’estensione dei vantaggi del “super e iper-ammortamento” agli investimenti che determinano adozione di tecnologie con effetti misurabili su obiettivi “green”. Muovendo in questa direzione la spesa effettiva per investimenti potrà condurre ad un aumento del deficit, ma difficilmente ciò potrebbe condurre a reazioni negative europee.
Per quanto riguarda il piano politico la situazione appare bloccata. Sarebbe sciocco considerare privi di fondamento gli argomenti di chi, dinanzi ai problemi in cui versa il paese, ritiene che l’attuale governo non costituisca la guida politica più adeguata. Difficile negarlo. A governare è una maggioranza segnata da una continua fibrillazione che impedisce un’efficace azione di governo. Credo sia inevitabile chiedersi se questa maggioranza sia in grado di governare il Paese in uno dei momenti più complessi della sua storia economica e civile; se sia capace di fronteggiare le conseguenze del “morbo cinese” e fare argine alla destra.
E tuttavia, malgrado le considerazioni di buon senso che svolge Giancarlo Giorgetti, credo non ci siano alternative. L’idea di una svolta in direzione di un governo di unità nazionale con un diverso presidente del Consiglio appare impraticabile.
Per diverse ragioni. Non ci sono soggetti politici disponibili ad una simile operazione. Il Pd non è in condizioni di impegnarsi in una impresa del genere. Andrebbe in frantumi. I 5 Stelle, un partito in via di disgregazione, sarebbe destinato a ridursi ad una forza insignificante in un “governassimo”. Non credo migliorerebbe il rapporto di Renzi e di Italia viva con il Paese. Renzi porta la responsabilità di aver promosso ad agosto l’accordo tra Pd e il populismo dei grillini. Si assumerebbe anche la responsabilità di rimettere insieme al governo leghisti e 5 Stelle. Un insieme gravido di contraddizioni, con uomini reduci da rancorose dispute dovrebbe costituire una buona soluzione per il Paese? Mi sembra una via del tutto impraticabile e dannosa per l’Italia.
In questa situazione c’è da riflettere quando Luca Ricolfi scrive della “abdicazione del Pd da ogni velleità di dare un segno al governo giallo-rosso”. Ricolfi ricorda il cedimento del Pd sul taglio dei parlamentari, la rassegnazione al reddito di cittadinanza, l’acquiescenza sulla giustizia, il rinvio e il temporeggiare su tutto ciò che riguarda l’immigrazione, a cominciare dai decreti sicurezza. Insomma M5s, un partito lacerato e in caduta libera nei sondaggi, appare il vero dominus del governo. La stessa Italia viva, malgrado il “movimentismo” di Renzi, non ha saputo finora far valere il punto di vista di una sinistra riformista.
La verità è che Matteo Renzi sconta due errori: aver fatto nascere il governo ad agosto sulla base di un’intesa innaturale tra la sinistra e il grillismo, e aver abbandonato il Pd per la fondazione di un altro partito. Una scelta che ha indebolito fortemente il fronte riformista interno al Pd e accentuato il risentimento nei suoi confronti.
Come venire fuori da questa situazione? Ho timore ci si sia cacciati in un vicolo cieco. In ogni caso oggi è indispensabile concentrarsi nell’impegno per debellare il coronavirus. I conti politici si faranno dopo.