Non siamo ancora giunti al picco dell’epidemia, ci comunicano alcuni esperti scelti tra i migliori professionisti disponibili ad apparire in tv per dare la loro interpretazione sull’evoluzione quotidiana dei dati che riguardano l’andamento del coronavirus in Italia. Per altri invece siamo già in fase di recessione, perché il numero dei guariti supera il numero dei nuovi pazienti.
Ovviamente si tratta di messaggi contraddittori che creano sconcerto nella popolazione e il vago sospetto che qualcuno stia mentendo. Difficile però capire chi stia fornendo un’interpretazione inesatta dei dati: i numeri non hanno quella chiarezza e quella trasparenza che ci si attenderebbe.
Tutto dipende da quale parametro si prende in considerazione e gli italiani hanno cominciato a capire che positivo al coronavirus non significa malato; ma che neppure un soggetto negativo al coronavirus può essere considerato del tutto sano.
Stanno scoprendo che al nuovo virus piace giocare a rimpiattino, per cui spesso si nasconde e allora si moltiplicano i falsi negativi e i falsi positivi: il tutto nella più corretta interpretazione scientifica. Sempre che si sappia bene di cosa si sta parlando e a cosa si riferiscono i dati segnalati.
Attraversare la zona rossa non significa ammalarsi ipso facto e dover essere messo in quarantena, e non tutti quelli che abitano in zona rossa sono potenziali untori.
Il Decreto Speranza approvato alla Camera dei deputati, e in dirittura d’arrivo domani in Senato, mette a sistema in modo rigoroso quell’insieme di norme a carattere rigidamente precettivo che fino ad ora hanno caratterizzato la vita delle zone rosse. Chiese chiuse; scuole chiuse; musei chiusi; cinema chiusi; perfino il pronto soccorso è off limits e nei casi migliori è sostituito da una tenda da campo in cui si possono sbrigare le normali richieste dettate dal bisogno e dall’ansia, improvvidamente sollevata dal bombardamento mediatico.
Tutto chiuso quindi salvo le farmacie e i supermercati, ovviamente presi d’assalto anche da chi cerca l’occasione di un rapporto umano che non si concluda nelle mura di casa propria. Il clima che si è creato nel Paese è quello contraddittorio che mentre esalta le nostre capacità in fatto di precauzione e di organizzazione, evidenzia anche l’impegno delle forze armate, mobilitate per fronteggiare l’emergenza. Inoltre un filo diretto con la popolazione tutta informa attraverso veri e propri bollettini di guerra, puntualmente trasmessi in tv, sulla stampa e su ogni sito web, più o meno accreditato, il numero delle persone colpite da coronavirus, o presumibilmente colpite, senza eccessive differenze.
Si registrano in un unico calderone: malati, da quelli appena diagnosticati a quelli già in trattamento o addirittura in via di guarigione; i soggetti positivi al tampone, e i soggetti che avrebbero voluto fare il tampone, ma non ci sono riusciti, perché non ce n’erano abbastanza, per cui sono tornati a casa delusi e preoccupati. La preoccupazione era legata al semplice fatto di essere transitati attraverso una delle zone rosse.
La comunicazione ha indubbiamente travolto l’effettiva consistenza del rischio, l’ha amplificata, l’ha globalizzata e ne ha fatto un boomerang spaventoso per il nostro Paese, identificato a livello internazionale come un Paese ancor più a rischio della Cina. Non a caso il direttore scientifico dello Spallanzani, Ippolito, che abbiamo imparato a conoscere e riconoscere tutte le sere in tv, su tutti i canali, ha recentemente affermato in conferenza con la stampa estera: “In Italia si sta lavorando affinché vengano comunicati solo i casi di nuovo coronavirus clinicamente rilevanti, ovvero i casi clinici di pazienti in rianimazione o morti, come avviene negli altri Paesi del mondo. I positivi ai tamponi fatti per qualsiasi altro motivo andranno in una lista separata”.
Evidentemente sta emergendo la voglia di cambiare registro nella comunicazione. Il “contagio” veramente pericoloso e letale attualmente è la disinformazione, figlia di un eccesso di informazione, che non risponde più al naturale bisogno di sapere come stanno le cose per tutelare più e meglio la propria salute e quella delle persone care.
Medici, ma anche infermieri e farmacisti, da giorni in prima linea dal Pronto soccorso alle corsie degli ospedali, nelle farmacie o davanti al microscopio nei laboratori non ne possono più! Non dei turni massacranti, ma delle fake news che alcuni loro colleghi sedicenti virologi, immunologi, ecc. lanciano nei diversi media, senza alcun filtro che tuteli la popolazione dalla disinformazione.
In queste ore molti di loro hanno fatto retromarcia, dopo aver scatenato il panico, rendendosi conto delle conseguenze devastanti di tanta overdose di informazione, data in modo poco critico, senza tenere minimamente conto di un pizzico di psicologia delle masse. A volte la disinformazione nasce anche dalla crudeltà del mezzo tv, che pretende di esaurire in una manciata di secondi questioni assai più complesse.
È difficile, in pieno inverno e con l’abituale influenza in giro, affrontare l’emergenza sanitaria di una sindrome simil–influenzale, trasformandola irresponsabilmente in un’epidemia, o peggio ancora in una pandemia. La cattiva gestione dell’informazione ha creato isterismi di varia natura, con una drammatica ricaduta sul piano economico, in particolare nel campo del turismo, senza avere nessuna certezza che sul piano sanitario si sia fatto davvero ciò che si doveva fare. Non dimentichiamo che l’accanimento, a cominciare da quello diagnostico, ha i suoi effetti negativi, tutt’altro che irrilevanti.
Quanto al possibile vaccino, occorre aver ben presente che saranno necessari molti mesi, forse un anno, per avere un vaccino contro il coronavirus, e certamente le piattaforme vaccinali sono attualmente lo strumento più efficace per fronteggiare il fenomeno. Ma non possiamo dimenticare l’accanimento dei No–Vax che hanno bloccato lo sviluppo, financo dello studio dei nuovi vaccini, fin dallo scorso anno, facendone un elemento strutturale della campagna elettorale del M5s. Lo stesso Di Maio, partecipando ad una conferenza stampa, in qualità di ministro degli Esteri ed ex leader dei pentastellati ha affermato in un modo tutt’altro che lineare e conseguente: “Siamo qui oggi perché tutti possano conoscere la reale situazione dell’Italia. Noi abbiamo scelto di improntare la nostra gestione alla trasparenza, che ci consente di essere un Paese affidabile. All’estero girano tante notizie errate che stanno danneggiando l’economia e la reputazione della nostra comunità scientifica che sta affrontando in maniera brillante la situazione”.
Il fatto è che la gestione dell’epidemia è stata tutt’altro che brillante proprio considerandola sotto il profilo della politica estera: in Italia non arrivano turisti, sovrabbondano le disdette, con una perdita drammatica per il turismo nazionale. Gli italiani all’estero sono considerati appestati, senza tener in nessun conto da quale luogo provengano né quando sono partiti. Le loro condizioni di salute sono del tutto ignorate, mentre sarebbe possibile verificarne e misurarne la qualità. E soprattutto in stato di assoluto abbandono proprio dalla Farnesina, che nulla ha fatto per difenderne i diritti alla mobilità in aree e zone comunemente accessibili agli altri turisti. La storia di certe crociere in cui gli italiani sono tenuti praticamente in quarantena è oggettivamente squallida.
Di Maio ha poi aggiunto: “Nei prossimi giorni informeremo i paesi stranieri, ogni giorno, con bollettini in tutte le ambasciate nel mondo. Condanniamo le speculazioni economiche, qualche sciacallo lo sta facendo su mascherine e gel disinfettanti….”. È facile immaginare cosa accadrà con il proliferare dei bollettini in tutti i Paesi stranieri e certamente i livelli d’ansia cresceranno a dismisura, a meno che non si impari a dare i numeri in modo assai più corretto di quanto sia stato fatto finora in Italia.
Non vogliamo minimizzare la situazione italiana, ma è importante specificare. In Veneto parliamo dello 0,2% del territorio regionale e lo 0,01% di quello nazionale. In Lombardia parliamo dello 0,5% del territorio regionale, e 0,04% di quello nazionale. In tutto sono coinvolte 40–50mila persone su 60milioni di italiani. Casi singoli segnalati in altre regioni non possono trasformarle ipso facto in Regioni rosse, in cui si possano applicare norme e criteri drammaticamente restrittivi, come sembra emergere dal Decreto Speranza, all’articolo 1, comma 1, dove si dispone che “nei comuni o nelle aree nei quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi sia un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio, le autorità competenti siano tenute ad adottare ogni misura di contenimento adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”.
“Ogni misura”, dice il decreto stesso, riguarda la chiusura di scuole, chiese, musei, teatri e cinema, impianti sportivi, eccetera. Un solo caso non può giustificare un intervento così massiccio, come potrebbe facilmente verificarsi se l’autorità corrispondente fosse particolarmente scrupolosa, ansiosa o incapace di assumersi responsabilità in modo complessivo. l’Italia è un grande Paese con una straordinaria qualità del Servizio sanitario nazionale. Certamente più problematiche appaiono invece la gestione economico–finanziaria e quella relativa alla comunicazione multimediale. D’altra parte sulla fragilità della prima non avevamo dubbi, tenendo conto che siamo già all’ultimo posto in Europa e ora scivoleremo ancora più giù. Ma in fatto di comunicazione pensavamo di essere messi meglio!
I malati di coronavirus li stiamo curando e per la maggior parte guariscono; il sistema economico nazionale appare invece un malato grave, colpito da una forma progressiva, contagiosa e probabilmente irreversibile: urge una rianimazione che questo governo stenta davvero a fare in modo tempestivo e competente. Speriamo che con una migliore comunicazione, usata in chiave terapeutica e non solo allarmistica e distruttiva, anche il sistema economico possa recuperare nuove energie tali da restituire al paese quella forza vitale che sembra venir meno ogni giorno di più.