Innovazione tecnologica e formazione: sono queste le coordinate per lo sviluppo del mondo travel. Ma ce n’è una terza, considerata a torto più “immateriale” ma ugualmente fondamentale, anzi in prospettiva strategica anche molto più impattante non solo nel turismo, ma in ogni settore di qualsiasi attività: è la sostenibilità. Perché il mondo intero “ha risorse limitate e quindi ogni piano di investimenti, ogni orientamento dello sviluppo tecnologico e le relative modifiche istituzionali dovrebbero essere in sintonia per valorizzare il potenziale attuale e futuro per rispondere ai bisogni dell’uomo”. Sono i concetti espressi ancora nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo dell’Onu: “Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”.
“È vero – sostiene Ada Rosa Balzan, esperta di strategie di sostenibilità per aziende ed enti pubblici, docente in varie università e Business school italiane (tra cui Università Cattolica, Business school del Sole 24 Ore e Fondazione Cuoa) e responsabile nazionale dei progetti di sostenibilità in Federturismo Confindustria -. Perché parlare di sostenibilità non vuol dire discutere di filantropia: significa piuttosto parlare del futuro, del nostro futuro, e vuol dire anche parlare di responsabilità sociale, senza colpevolizzare sempre altri per ogni problema, ma rendendosi partecipi in prima persona di azioni buone, virtuose”.
Non solo atteggiamenti divenuti trendy, come “plastic free”?
Beh, direi che anche quello va bene. Attenzione però a non demonizzare adesso in toto qualsiasi contenitore fatto di materie plastiche, in una furia iconoclasta e demagogica. Non tutta la plastica è surrogabile: si pensi ad esempio alle sacche da trasfusione, alle siringhe monouso e via dicendo. Insomma, sì al plastic free, ove possibile, ma certamente è un orientamento che da solo non basta per poter parlare davvero di sostenibilità.
Cosa bisogna aggiungere, nel settore travel?
Almeno altri sei nodi fondamentali. Primo: la valorizzazione dei territori. Vale la pena ricordare il turismo enologico, che implica la scoperta dei vari ambienti, le cantine, le colture. Anche in un settore come questo, dove i turisti si dimostrano già particolarmente interessati e curiosi, mancano ancora risposte adeguate per una clientela consapevole e alla ricerca di autenticità. Si pensi che in Italia si contano 5.047 tipicità alimentari, oltre a quelle già validate dai marchi Doc, Docg, Dop e via dicendo. Bisogna sfruttarle per accrescere la catena del valore di una zona, la sua reputazione: occorre promuovere i brand locali e la loro attrattività. E sono in arrivo anche le certificazioni ISO 23353.
Che cosa sarebbero?
La ISO 23353 sulla geographical indication valorizza proprio l’indicazione geografica con criteri internazionalmente condivisi, che validano l’unicità del luogo, dell’attività, delle manifestazioni, dalla festa di paese al prodotto tipico locale. Come esperta di sostenibilità sto partecipando ai tavoli tecnici internazionali proprio per il rilascio di nuovi standard ISO, anche per la futura ISO 23353, al Sustainable Investment Forum di Parigi per la finanza sostenibile, e al Climate Change di Londra. Saranno certificazioni che serviranno moltissimo a promuovere il turismo.
Un grande sforzo, insomma, per una nuova “autostima local” e per imparare a proporsi meglio, come insegnano i francesi. E gli altri punti?
Al secondo posto di questo breve vademecum c’è l’efficienza nella gestione. Anche qui serve almeno un esempio. Nei centri più attrattivi, penso a Venezia, si è pensato al numero chiuso o agli ingressi contingentati, di fatto avvilendo le aspettative di molti e creando motivo di disaffezione per la mèta. In realtà, non ci sarebbe alcuna necessità di ricorrere a misure così drastiche se si praticasse una programmazione efficiente, che valorizzi le località circostanti e la destagionalizzazione anche con proposte di mobilità alternative. Altro esempio: le piste ciclabili create a Bolzano. Soluzioni molto ecologiche, a basso impatto, ma con alta resa: per un chilometro di ciclabile è stato calcolato un indotto di circa un milione di euro. Ma anche a Treviso si parla di grandi benefici: circa 650mila euro per chilometro di pista. Sono risultati importanti, frutto appunto di gestioni del territorio attente e lungimiranti.
Siamo al terzo capitolo.
Dove inserirei la riduzione dei costi. Penso che tutti comprendano come l’eliminazione degli sprechi, delle ridondanze, delle sovrapposizioni e delle scarse efficienze possa portare benefici a tutta la catena. Se si aggiunge a questo l’ottimizzazione dei processi aziendali, anche e soprattutto nelle imprese travel, i risultati non possono che essere positivi. Al quarto posto si piazza l’empowerment delle competenze, la valorizzazione delle formazioni, determinanti per qualsiasi operatore del turismo, dal manager all’addetto alla reception, soprattutto in un’epoca in cui la tecnologia ha stravolto abitudini consolidate, il digitale ha dettato le nuove regole e gli approcci. Io raccomando sempre il coinvolgimento delle persone, a tutti i livelli, la partecipazione in azienda, fattori basilari per la crescita omogenea di qualsiasi impresa.
Mancano ancora due punti.
Che sono l’accessibilità, intesa in senso ampio come la necessità di rispondere ad esigenze diverse, quali la possibile mobilità limitata del cliente, l’intolleranza alimentare, la necessità di collegamenti rapidi al web. Anche questi, oggi, sono aspetti importanti da considerare nella ricettività. Infine, al sesto punto, un aspetto più finanziario: il bisogno di un facile accesso ai capitali, compresi i fondi europei, un rapporto nuovo con gli istituti di credito, che potrebbe essere agevolato anche dal “grado di sostenibilità” raggiunto dalla singola impresa, perché è noto che un’azienda è tanto più affidabile e solida quanto più ha attivato i punti che ho ricordato, in una parola la sostenibilità.
Ma come può una banca valutare queste best practice?
Non è semplice. Proprio per questo ho creato, con la mia startup Arb, un nuovo algoritmo, “Si Rating”, il primo al mondo basato su strumenti internazionalmente riconosciuti per misurare, monitorare e comunicare la sostenibilità, validato da Rina, in collaborazione con Sasb (Sustainability Accounting Standard Board, organizzazione leader negli Usa per la definizione degli standard di rendicontazione non finanziaria) e completamente Made in Italy.
In cosa consiste Si Rating?
Si Rating non ha una valutazione unica valevole per ogni settore di attività, ma opera sui 77 differenti tipi di industria identificati dal Sasb e restituisce una fotografia puntuale e obiettiva di come l’azienda sta performando sulle tematiche ambientali, sociali e di governance e ai 17 obiettivi della Agenda 2030 delle Nazioni Unite (gli SDGs). È un algoritmo che può sviluppare fino a 80mila miliardi di combinazioni.
L’importanza della sostenibilità nel comparto travel a questo punto è chiarissima. Cosa manca allora?
Una cabina di regia. Una governance unica in grado di smuovere sinergie per una crescita uniforme. E forse ancora di più manca la conoscenza dei territori e delle loro potenzialità. Io partecipai alla stesura del Piano strategico quinquennale sul turismo, varato dal ministero nel 2017: basti pensare che quello è stato il primo nella storia italiana. Per una nazione che accredita al turismo quasi il 13% del proprio Pil si tratta di una “distrazione” fin troppo evidente. Ma già in quel Piano la sostenibilità aveva trovato grandi ruoli da protagonista: proprio il 2017 è stato l’anno del turismo sostenibile, e l’anno successivo è stato dedicato al cibo e al vino. Adesso servono nuove attenzioni e nuove basi per costruire più cultura d’impresa anche attraverso la formazione e la comunicazione. Serve che tutti, insieme, si affronti un salto di qualità. Sostenibile, ovviamente.
(Alberto Beggiolini)