Quasi nessuno si aspettava quello che è stato definito lo “tsunami Biden” nel cosiddetto SuperTuesday, il primo appuntamento importante delle primarie del Partito democratico americano, in quanto raggruppa in un solo giorno 14 Stati, tra cui uno Stato-chiave, la California. Qui, secondo le previsioni, ha comunque vinto Bernie Sanders, segno che il “socialista americano” ha ancora le sue carte da giocare. Per Andrew Spannaus, giornalista e analista americano attivo in Italia e a livello internazionale, fondatore del servizio Transatlantico che fornisce analisi e consulenza su economia e geopolitica, “l’establishment ha ottenuto la sua rivincita, tornando a vincere in modo inaspettato. Non ci aspettavamo una vittoria di Biden così massiccia, anche con dieci punti in più sul suo anniversario”. Per Spannaus l’ex vicepresidente americano è solo, come lo chiama Sanders, “l’Hillary Clinton 2.0”.
Si aspettava una vittoria così schiacciante di Biden, che solo pochi giorni fa era dato per spacciato?
Biden era dato per spacciato fino al voto in South Carolina, dove ha ricevuto una forte spinta da un politico democratico afro-americano, Jim Clyburn, vincendo con il 48,4% contro il 19,9% di Sanders nel primo Stato del Sud in cui si è votato. Da lì ha avuto un balzo inatteso. Personalmente mi aspettavo che si avvicinasse a Sanders, non che lo superasse. Ha vinto in Stati dove non ha mai neanche messo piede come il Minnesota, il Massachusetts, la Virginia, nei quali i sondaggi parlavano di parità. L’establishment è tornato, ha avuto la sua rivincita.
Ma in che modo? Tutte le colpe della vittoria di Trump, quattro anni fa, erano state addossate proprio all’establishment democratico.
Hanno condotto una operazione di pressione sugli altri candidati per ritirarsi e appoggiare Biden, cercando di diffondere il panico, visto che Sanders ormai sembrava andare dritto verso la nomination. Evidentemente questa operazione ha funzionato.
È vero che gli afro-americani hanno votato per Biden?
In questi due ultimi appuntamenti elettorali sì. C’erano dei dubbi, i sondaggi nazionali delle ultime settimane avevano mostrato il sorpasso di Sanders fra gli afro-americani, oltre ai giovani e agli ispanici che già lo sostengono. Sembrava avesse compiuto grandi progressi. Però questa operazione politico-mediatica per sostenere Biden ha avuto un grande effetto, perché hanno scelto proprio lui, che così ha vinto con distacchi anche di dieci punti.
È bastato che il Partito democratico si ricompattasse attorno a un unico candidato per ottenere questa vittoria?
No. Se uno guarda i dati, sommando i voti di Biden e Bloomberg si arriva tra il 45 e il 55%, ma se si guarda Sanders, e almeno una quota della Warren, si arriva al 40-45%, in alcuni casi anche al 50%. C’è una nutrita minoranza del partito che vuole cambiamenti più profondi, come già si era visto nel 2016. Non accetteranno di lasciar perdere. Sanders ha già fatto capire che attaccherà direttamente Biden, perché lo considera una sorta di “Hillary Clinton 2.0”. L’ex vicepresidente ha votato a favore della guerra in Iraq, ha sostenuto il taglio delle pensioni, il Social Act. È considerato l’establishment.
Già all’inizio della campagna elettorale lei ci aveva detto che Bloomberg non aveva chance e infatti si è ritirato.
Bloomberg ha dato un grosso stimolo all’economia, spendendo circa 600 milioni di dollari, l’unica cosa che vale della sua candidatura. Si è dimostrato incapace di fronte alle critiche dei suoi avversari, ma ancor più ha mostrato che c’è un abisso fra le sue politiche sull’economia e la base del partito, che invece abbraccia ideali più progressisti. Si è detto contrario all’aumento del salario minimo e ha avuto atteggiamenti anti-sindacali. Insomma, un miliardario di Wall Street non è quello che serve.
Sanders ha vinto nel più popoloso Stato americano, la California. Questo che valenza ha? Si ripeterà in altri Stati ugualmente importanti?
La California ha il più alto numero di delegati, però bisogna tener conto che si vota con il sistema proporzionale. Ci vorranno settimane per conoscere i risultati definitivi, quindi potrebbe succedere che ne prenda di meno o di più. Gli Stati importanti su cui Sanders punta sono Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, perché sono gli Stati chiave contro Trump. Se riesce a dimostrare che lì va meglio, allora la logica che sorregge la sua candidatura sta ancora in piedi, anche se mi sembra difficile che potrà sorpassare Biden. Potrebbe però frenarlo, facendolo arrivare alla convention senza la maggioranza assoluta.
Dei due candidati qual è il punto che piace di più agli elettori?
Biden si presenta come lo zio Joe, una persona comune, molto amichevole, empatico con le persone, che parla non in modo preconfezionato, anzi. Lui è quello che in America si definisce un “regular Joe” e questo piace. Poi vanta una grande esperienza politica. Sanders invece propone una rivoluzione contro un sistema dove i lavoratori sono sempre perdenti davanti alle grandi multinazionali e a Wall Street. Non cambia posizione ed è molto deciso nel combattere un sistema diseguale, che continua a mantenersi tale.
(Paolo Vites)