“Abbiamo stanziato 7,5 miliardi” a sostegno della sanità, delle famiglie e delle imprese, che “stanno affrontando questa emergenza anche economica”. Lo ha annunciato ieri il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Che ha aggiunto: “Si tratta di un’iniziativa che richiede un passaggio parlamentare, perché c’è uno scostamento rispetto agli obiettivi di finanza pubblica. Riteniamo di dover assumere misure straordinarie, urgenti in un contesto così emergenziale”. La Commissione Ue è “costantemente aggiornata, l’Italia non fa un salto nel buio” perché da parte di Bruxelles c’è “piena sensibilità a venirci incontro”. La lettera alla Ue è già partita e secondo il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, “l’obiettivo è: nessuno deve perdere il lavoro per il coronavirus”. Dopo il decreto di fine febbraio – che prevede versamenti sospesi per tutti gli alberghi, slittamento dei pagamenti al Fisco nelle zone a rischio, sospensione delle bollette con possibile rateizzazione fino al 30 aprile, 50 milioni al Fondo di garanzia per le Pmi, estensione della cassa integrazione in deroga, indennità mensile fino a 500 euro per i lavoratori autonomi, fondo di 350 milioni per le imprese che esportano – il governo mette sul piatto risorse “significative” che “ci consentono di far fronte alle conseguenze immediate dal punto di vista economico del coronavirus”. Siccome, però, lo stesso governo riconosce che “anche questo secondo decreto non esaurisce gli interventi necessari per sostenere e rilanciare l’economia”, abbiamo chiesto a Salvatore Padula, già vicedirettore del Sole 24 Ore ed esperto di temi fiscali, un giudizio sull’efficacia dei provvedimenti già assunti e sui possibili interventi da adottare.
Ieri il Consiglio dei ministri ha messo sul piatto interventi per 7,5 miliardi, pari a un aumento del deficit 2020 dello 0,36%. È il massimo della flessibilità che possiamo chiedere a Bruxelles? Non sarebbe il caso di sfruttare fino al 3% di disavanzo o magari osare anche di più, vista l’eccezionalità della situazione?
Premesso che l’Europa deve farsi sentire perché molto probabilmente l’emergenza coronavirus interesserà altri paesi oltre all’Italia, e quindi saranno necessarie risposte di respiro europeo, il tema non è sfondare o meno il tetto del 3% di deficit. Noi dobbiamo convincere Bruxelles che alcuni vincoli europei, in questo frangente eccezionale, possono essere interpretati in modo più intelligente.
In che senso?
Dobbiamo fare in modo che tutte le spese per gli investimenti siano scorporate dal calcolo del deficit, così come tutte le spese dirette per la gestione dell’emergenza sanitaria, comprese le misure concrete di sostegno alle famiglie. Se passa questa linea, non abbiamo più il problema del 3%. Quindi, potremo rispettare i parametri che, per una volta, saranno utilizzati in modo intelligente.
Ma la Ue potrebbe non venire incontro a questa richiesta, perché in passato abbiamo più volte utilizzato male la flessibilità concessa. In quel caso?
Vero, talvolta abbiamo sprecato l’occasione. Ma certamente non è questo il momento per negare all’Italia questa possibilità: bisogna prendersi qualche rischio.
Torniamo un attimo alle misure del decreto di fine febbraio. Non le sembra che siano state previste esenzioni tributarie con proroga troppo ravvicinata?
La proroga è sicuramente troppo ravvicinata, i termini previsti sono incompatibili con la situazione attuale e il governo dovrà mettere mano in sede di conversione, perché quel decreto ancora non teneva adeguatamente conto dell’allarme e della gravità che si è creata con l’emergenza coronavirus.
Si corre il rischio che poi i contribuenti colpiti dall’emergenza coronavirus debbano restituire tutto e più in fretta?
Questo è un problema che spesso si pone quando per calamità naturali vengono sospesi alcuni adempimenti tributari. Una volta che si chiude il periodo di sospensione dei termini, i contribuenti si trovano spesso a dover affrontare un insieme di scadenze e di pagamenti.
La rateizzazione può essere una soluzione?
Questa possibilità, prevista in quasi tutti i casi dal decreto, può fornire un minimo di paracadute, di respiro, e l’auspicio è che il governo preveda modalità meno rigide e assillanti. Per esempio, dopo il terremoto dell’Aquila, per i pagamenti delle imposte sospese nel 2008 e nel 2009 era consentito versarli in un numero massimo di 120 rate. A seconda di quanto sarà prolungato il periodo di sospensione e di quanto saranno pesanti i danni provocati al tessuto economico, è indispensabile individuare un periodo congruo per recuperare le imposte non versate.
È lecito aspettarsi nel 2020 un calo del gettito fiscale?
Ci sarà senz’altro, visto che il gettito fiscale è una variabile dipendente rispetto all’andamento del Pil e, sapendo già che ci aspettano mesi e mesi difficili, dobbiamo mettere in conto una riduzione dell’Iva, perché i consumi soffriranno, e delle imposte dirette, perché le attività produttive rallenteranno.
Non era il caso di prendere fin da subito misure più strutturali a favore di aree economiche – la Lombardia, il Veneto e l’Emilia-Romagna – che fanno da traino al Pil, all’export e alla produzione industriale?
È giusto ragionare su due diversi livelli, ma connessi tra loro. C’è un’emergenza economica da tamponare, che va ben al di là delle zone rosse e delle zone gialle, ma riguarda l’intero territorio nazionale e praticamente tutti i settori produttivi. Vuol dire che quei primi interventi, ancorché pensati in modo insufficiente per la zona rossa, devono essere estesi e rinforzati per tutto il paese. E va fatto subito, senza aspettare la prossima settimana.
Che cosa si dovrebbe fare con la massima urgenza?
Adottare le misure paracadute. Per esempio, cassa integrazione ordinaria, cassa integrazione in deroga, utilizzo del fondo di integrazione salariale per mettere in sicurezza le aziende che stanno lasciando a casa i lavoratori. Poi, oltre a congedi parentali e voucher per le baby sitter, servono interventi supplementari, come le cosiddette misure di ristoro sia per le attività direttamente colpite dalle restrizioni, sia per le attività che subiscono danni indiretti, come il turismo e le fiere. Senza dimenticare quei provvedimenti che torneranno utili anche dopo l’emergenza, come il rafforzamento di Industria 4.0, gli ecobonus al 100%, gli incentivi per l’acquisto di auto, le dilazioni di pagamenti d’imposta, il ricalcolo degli acconti. Infine, interventi a sostegno del credito alle imprese, che oggi temono una nuova stretta.
E il secondo livello?
È un livello più strategico che, partendo sempre dall’emergenza, visto che il coronavirus aggrava una traiettoria verso la recessione su cui l’Italia era già incamminata, deve mettere le basi per interventi più strutturali, coraggiosi e ambiziosi, senza i quali difficilmente il paese si potrà scrollare di dosso gli effetti del coronavirus. Quindi, sostegno alla domanda interna, sblocco degli investimenti, riforma fiscale il cui obiettivo è alleggerire il prelievo sulle classi medie. E ancora: semplificazioni burocratiche, agevolazioni a chi assume, incentivi maggiori per chi investe, via libera ai cantieri. Occorre un piano di ampio respiro.
Potrebbe avere senso ed efficacia anticipare la manovra 2021 a prima dell’estate?
Personalmente ero convinto che, anche senza l’emergenza coronavirus, il governo avrebbe dovuto anticipare la manovra di svariati mesi per affrontare per tempo quelli che all’inizio dell’anno ci sembravano i temi chiave in vista del 2021, ovvero clausole di salvaguardia, riforma dell’Irpef, rilancio degli investimenti. A maggior ragione deve essere fatto oggi, perché la gente ha bisogno di risposte concrete. Il cronoprogramma del governo dovrebbe prevedere la prossima settimana un decreto serio per togliere l’angoscia a cittadini e imprese rispetto agli adempimenti burocratici e poi, già con il Def da presentare entro il 10 aprile, tra fine maggio-metà giugno è necessario predisporre un piano di legge di Bilancio 2021 che già inglobi tutte le misure e le riforme su cui si sta ragionando.
Ma questo governo, così diviso, incerto e timido, riuscirà in questa impresa?
Speriamo di sì.
(Marco Biscella)