Benvenuti a CasaForzata, la casa della famiglia italiana che sta per concludere unita la sua seconda settimana di ‘vacanza’ coatta, per difendersi dal coronavirus. A Milano, le scuole sono chiuse da settimane. Sembra un po’ di essere arrivati all’8 giugno.
Ma senza preavviso, senza quel caldo secco da dire ‘Dai ragazzi, ora tutti fuori al parco, alla gelateria, all’acqua-fun’, ma soprattutto … senza oratori aperti. Oratori, grest, o altri benedetti centri che diano a una madre quell’attimo di respiro regolare che le serve quando sei sanissima, ma provata dal virus dell’impazienza.
I figli scolari a casa non sono una novità per il genitore. A marzo però sì. Sono delle primizie. “Sono fragole a dicembre” mi sono detta stamattina. Provavo a cogliere i lati migliori. Erano le undici, davanti al lavandino pieno di tazze imbrattate di Nesquik e piattini striati da resti di Gocciole schiacciate. Intanto in soggiorno, chi cercava il pezzo bianco da due del Lego Star Wars, chi il caricatore dell’i-Pad, chi il pretesto per accendere la tv a un orario terribilmente indecente. Nessuno che inseguisse un libro di racconti, non parliamo del manuale di chimica.
Benvenuti a CasaForzata, dove un genitore si barcamena tra smart-work e permessi pagati chissà quando e se.
Alle tre del pomeriggio, volevo l’isolamento. Volontario. Ho mandato un messaggio a mio marito: “Mi metto in quarantena, però puoi portarmi una margherita per cena quando arrivi”. Intanto mi domandavo se tutta questa paralisi della città serviva a qualcosa. Poi mi sono sforzata di buttare fuori due colpacci di tosse secca e ho ordinato ai figli che mettessero tutto a posto. Nell’ansia da contagio, tutti hanno ubbidito quasi subito. Chi l’avrebbe detto. Il primo a finire di sistemare le sue cose è stato il maschio. Ha detto: “Ora vado a farmi una doccia.” Udite, udite… Lui che… non fatemi parlare. Non tutta la psicosi disinfettante vien per nuocere, ho pensato.
Sono rimaste in soggiorno le due femmine. Litigavano e io non volevo sapere il perché. Si rimbalzavano la colpa di qualcosa. Han tentato di coinvolgermi perché mi sbilanciassi su chi delle due avesse torto. Ma la colpa è sempre qualcosa che non sai mai dove parte, è come rintracciare il paziente zero. Mi sono rifiutata di intromettermi e rifugiata in cucina dove al massimo potevo vederle tirarsi per i capelli. Stranamente, non si sono menate come al solito. Se ne sono state ad almeno un metro di distanza e han litigano solo verbalmente. “Vedi la paura che scherzi fa?” mi son detta “Anche tra fratelli”. Le ho udite sfoggiare una dialettica ciceronica senza precedenti.
Mi sono accorta che il virus stava modificando la convivenza. Nel perenne casino logistico di queste giornate troppo lunghe, stava piano piano veicolando occasioni di civiltà dimenticata.
Alle sei e mezza, ci siamo spiaggiati davanti a una serie-tv. Sì anche io, io che oggi mi sono sentita più smart che work. Pazienza. Recupererò domani: oggi sento che potrei essere contagiata dal buonumore. Potrei, ho detto.
Benvenuti a CasaForzata, famiglia tenace quanto umana; minacciata dal virus, ma anche aperta alle opportunità.
Poi, alle sette e trenta, ho letto il messaggio sul mio telefono “Uscito ora”. “Ok” ho risposto e ho chiuso gli occhi. Ho pensato solo: uhm, tra poco, pizza. Pizza ragazzi. Pizzaccia bufala e funghetti come se non ci fosse un domani. Per i giorni normali, quelli tutti di corsa tra lezioni di musica e palestre in sequenza incalzante, c’è tempo (chiamali poi normali…).