Con il duplice decreto approvato nella notte tra il 7 e l’8 marzo dal Consiglio dei ministri e con quello nuovo in vigore da stamane, l’epidemia da coronavirus conferma agli occhi del mondo intero che la questione in Italia è cosa seria, davvero molto seria. Si tratta di decreti che prevedono sia i provvedimenti necessari a contenere la diffusione del coronavirus non solo e non più soltanto nella “zona arancione” – Lombardia e altre 14 province, dove i contagi sono maggiori -, ma su tutto il territorio nazionale. Soprattutto il decreto firmato nella notte di domenica dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte sta suscitando tante perplessità tra gli italiani, anche per le inevitabili ambiguità interpretative quando si passa dall’enunciato all’applicazione pratica.
La parola d’ordine che attraversa l’intero Dpcm è responsabilità, auto-responsabilità. I vincoli posti alla libertà individuale sono per tutti noi del tutto inediti e includono, fino al 3 aprile, misure pesantissime, di cui è simbolica oltre ogni dire la sospensione del campionato di calcio, rito nazionale tra i più rappresentativi della nostra cultura e simbolo di una coesione sociale che va oltre i ben noti campanilismi. Sono vietati gli spostamenti in entrata e uscita in tutto il paese come fino a ieri era per la Lombardia e le 14 province interessate. L’attività didattica per le scuole di ogni ordine e grado, atenei e accademie è sospesa fino al 3 aprile. Il decreto introduce un arco orario di apertura consentita a servizi di ristorazione e bar, dalle 6 alle 18, sempre che il gestore sia in grado di rispettare “l’obbligo” di assicurare la distanza di sicurezza interpersonale nei locali. È disposta la sospensione degli esami per la patente di guida. Chiusura di tutte le palestre, piscine, spa e centri benessere. I centri commerciali dovranno rimanere chiusi nel week end. Chiusi musei, centri culturali e stazioni sciistiche. Sospesi i concorsi. Sospese le cerimonie civili e religiose, comprese quelle funebri. Sospese tutte le manifestazioni organizzate, comprese quelle di carattere culturale, ludico, sportivo e religioso, anche se svolte in luoghi chiusi ma aperti al pubblico, come cinema, teatri, pub, scuole di ballo, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, discoteche e locali assimilati.
Eppure in questo clima di pesanti limitazioni imposte alle libertà individuali a tutela della salute pubblica e individuale, con enormi ricadute sul piano economico, da quello manifatturiero a quello turistico-alberghiero, niente sorprende tanto e crea maggiore sconcerto del Documento della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti). La Siaarti, in data 7 marzo 2020, ha emanato infatti delle Raccomandazioni di etica clinica dirette agli operatori correlate all’emergenza creata dal Covid-19. In nome della “straordinarietà della situazione” e della possibile insufficienza dei posti-letto, il Documento propone brutalmente di non permettere l’ingresso in terapia intensiva ad anziani affetti dal virus, soprattutto se già portatori di altre patologie o in condizioni precarie, nonché di interrompere la terapia intensiva in atto nei loro confronti, anche se ancora utile; per riservare i posti-letto disponibili a eventuali altri pazienti più giovani. I criteri sono quelli di “giustizia distributiva” e di “appropriata allocazione delle risorse sanitarie limitate”: occorre la “massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone”, per cui è opportuno “riservare risorse ha chi ha più probabilità di sopravvivenza e a chi può avere più anni di vita salvata”. Insomma: curare gli anziani con la terapia intensiva costa troppo e non vale la pena, dal momento che dovrebbero morire entro pochi anni o addirittura pochi mesi. Qualcuno ha definito questa operazione come un altro passo verso l’eutanasia legale: gli anziani non si ammalino di coronavirus!
La giustificazione formale è la carenza di posti letto in terapia intensiva in un momento in cui il 10% dei pazienti da coronavirus presenti segni di insufficienza cardio-respiratoria che richiedono il ricovero in reparti altamente specializzati come quelli di terapia intensiva. Attualmente i letti di terapia intensiva in Lombardia sono 660 e ne potrebbero essere recuperati altri 470 dai vari reparti, ma i 1.100 posti letto rappresentano una soglia limite oltre la quale il Ssr lombardo non sembra proprio poter andare, per cui per la Siaarti diventa fondamentale fissare i criteri a cui attenersi al momento di dover scegliere chi mandare in terapia intensiva e chi no. Il che, detto in altre parole, significa decidere a chi consentire di continuare a vivere e a chi no.
La questione dei posti in terapia intensiva è l’emergenza numero uno scatenata dalla diffusione del virus Covid-19. Proprio per far fronte alla mancanza di letti negli ospedali, il governo ha previsto nel Dpcm dell’8 marzo la possibilità di requisire alberghi da trasformare in luoghi di assistenza domiciliare collettiva. Strutture da usare per la quarantena dei positivi non in gravi condizioni, che libererebbero dunque posti negli ospedali. Ma per i nuovi posti di terapia intensiva serve anche personale e personale qualificato.
Appare però abbastanza evidente che, una volta fissato il criterio dell’età e delle buone condizioni generali come criterio per il ricovero in terapia intensiva, sia pure in fase di emergenza, il rischio di farne un approccio permanente anche per altre patologie che dovessero richiedere un ricovero in terapia intensiva diventerebbe molto probabile. Potrebbe diventare una soluzione utile per tutti i casi di budget sanitario limitato. Uno strumento molto flessibile dal momento che non è indicata l’età limite per accedere alla terapia intensiva, cosicché – a seconda del budget sanitario disponibile – questo limite potrebbe salire o scendere, a prescindere dalla volontà del paziente e dal suo desiderio di essere curato nel miglior modo possibile, anche con la terapia intensiva.
Il Documento della Siaarti si intitola “Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili”. Secondo la società scientifica, il documento vuole “fornire un supporto agli anestesisti-rianimatori attualmente impegnati a gestire in prima linea” la maxi-emergenza “che non ha precedenti per caratteristiche e proporzioni”.
In una situazione così complessa, si legge nel Documento, ogni medico può trovarsi a dover prendere in breve tempo decisioni laceranti da un punto di vista etico oltre che clinico: quali pazienti sottoporre a trattamenti intensivi quando le risorse non sono sufficienti per tutti i pazienti che arrivano, non tutti con le stesse chance di ripresa.
In uno scenario di saturazione totale delle risorse intensive, decidere di mantenere un criterio di “first come, first served”, equivarrebbe comunque a scegliere di non curare gli eventuali pazienti successivi, che rimarrebbero esclusi dalla terapia intensiva.
“Siamo consapevoli – continua il Documento – che affrontare questo tema può essere moralmente ed emotivamente difficile. Come Società scientifica avremmo potuto, tacendo, affidare tutto al buon senso, alla sensibilità e all’esperienza del singolo anestesista rianimatore, oppure tentare, come abbiamo scelto di fare, di illuminarne il processo decisionale con questo piccolo supporto che potrebbe contribuire a ridurne l’ansia, lo stress e soprattutto il senso di solitudine. Non è la Siaarti, con questo documento di raccomandazioni, a proporre di trattare alcuni pazienti e di limitare i trattamenti su altri. Al contrario, sono gli eventi emergenziali che stanno costringendo gli anestesisti-rianimatori a focalizzare l’attenzione sull’appropriatezza dei trattamenti verso chi ne può trarre maggiore beneficio, laddove le risorse non sono sufficienti per tutti pazienti”.
Alla Siaarti risponde il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo), Filippo Anelli, che commenta le Raccomandazioni di etica clinica, diffuse dalla Siaarti, per gestire, in caso di grave emergenza sanitaria e di carenza di risorse, l’ammissione alla terapia intensiva. “Abbiamo letto con estrema attenzione il documento diffuso dalla Siaarti, che definisce criteri di scelta per l’ammissione alle terapie intensive, ove le risorse non fossero disponibili per tutti a seguito di un precipitare dell’emergenza dovuta al Covid-19. Lo recepiamo come un grido di dolore. Nessun medico deve essere costretto a una scelta così dolorosa. La nostra guida, prima di qualunque documento che subordini l’etica a princìpi di razionamento, e che dovrebbe in ogni caso essere discusso collegialmente dalla professione, resta il Codice di deontologia medica. E il Codice parla chiaro: per noi tutti i pazienti sono uguali e vanno curati senza discriminazioni”.
Tutti i contagiati devono avere ugualmente diritto alle cure, per noi è un principio di rango costituzionale, corroborato dal Codice di deontologia medica e, anche se di fatto non si dovesse disporre di mezzi per la ventilazione meccanica per tutti i pazienti, a ogni paziente, dovrebbero comunque essere garantite tutte le cure possibili. Mettendo in gioco tutti gli investimenti necessari per creare ospedali moderni ed efficienti, sufficientemente flessibili per rispondere a domande sempre più complesse e meno prevedibili.
La provocazione della Siaarti che cerca di individuare criteri di priorità per l’assegnazione dei letti in terapia intensiva merita comunque di essere presa molto sul serio, riprendendo in mano un romanzo di Carl-Henning Wijkmark dal titolo molto suggestivo La morte moderna (edizioni Iperborea), pubblicato per la prima volta in Italia nel 2008, mentre nella sua versione originale risale al 1978. Davanti a un caso, analogo a quello posto dalla Siaarti, i criteri che si susseguono per la scelta del paziente da avviare alla terapia intensiva, sono prima la giovane età e le buone condizioni generali, poi quello dell’utilità sociale: si tratta di un padre di 4 figli; poi quello di un grande uomo di scienza: un Premio Nobel, utile a tutta l’umanità, e così via… nell’improbabile capacità di creare una scala sul diverso valore della vita umana.
Quando si perde di vista che ogni vita umana, a qualsiasi età e in qualsiasi condizione, merita il massimo dell’attenzione da parte dell’intero Ssn, i rischi di scivolare verso forme di subdola eutanasia sono davvero tanti.