Da 3,5 a 25 miliardi. Nel giro di dieci giorni le risorse individuate dal Governo per sostenere i provvedimenti a sostegno dell’economia, dell’occupazione e delle famiglie per contenere gli effetti devastanti dell’emergenza sanitaria hanno registrato una crescita esponenziale. Ma l’escalation è tutt’altro che finita. Le previsioni relative alla caduta del Pil nel caso di una probabile prosecuzione delle restrizioni adottate, e tenendo conto degli analoghi provvedimenti che molti governi nazionali saranno costretti a introdurre per contenere l’espansione pandemica del virus, potrebbero essere catastrofiche. Comunque tali da scoraggiare l’idea che i provvedimenti da adottare possano essere assunti nel rispetto delle vigenti regole di bilancio europee e sulla base dei comportamenti ordinari degli attori economici pubblici e privati.
L’ obiettivo primario dei provvedimenti, al netto di quello imperativo di assicurare le risorse finanziarie e i mezzi per sostenere gli sforzi del sistema sanitario, è rivolto ad aiutare le imprese impossibilitate a onorare gli impegni contrattualmente assunti nella fase precedente l’emergenza, ad assicurare nei limiti del possibile la continuità formale dei rapporti di lavoro e a sostenere il reddito delle persone e delle famiglie colpite dall’interruzione delle attività produttive.
Sono oggettivamente provvedimenti da economia di guerra, perché gli effetti economici finanziari e produttivi della crisi scaturiscono da fattori esterni. L’efficacia di questi provvedimenti, in particolare quelli destinati a sospendere il pagamento di tasse, contributi tariffe e rate di mutuo, delle imprese e delle persone fisiche garantiscono un sollievo provvisorio. Ma le garanzie offerte ai creditori dallo Stato in termini di copertura degli interessi, e l’assunzione da parte dello stesso degli oneri per il sostegno delle famiglie, non sono certamente in grado di assicurare la futura onorabilità degli importi dovuti che dipende essenzialmente dalla possibilità degli operatori economici di riattivare, in condizioni di redditività, le precedenti attività produttive.
Tutto questo non è affatto scontato. Anche nella favorevole condizione di un rapido superamento dell’emergenza sanitaria, rimettere in moto la complessa macchina delle relazioni contrattuali con clienti, fornitori, in ambito nazionale e internazionale non sarà affatto semplice. Molti operatori economici avranno nel frattempo diversificato le loro scelte, e così avverrà anche per le consuetudini dei consumatori influenzate dalla contrazione dei redditi e da altri fattori ambientali. Si pensi ad esempio all’impatto sui flussi turistici derivanti dalla pandemia, che sono destinati a perdurare per lunghi mesi.
Le medesime considerazioni valgono per i provvedimenti per sostenere il reddito dei lavoratori dipendenti attraverso modalità in deroga alle normative vigenti, e pertanto non condizionate dal settore di appartenenza o dal numero dei dipendenti della impresa. Per una stima provvisoria di almeno 5 miliardi da destinare ad almeno 700 mila lavoratori. La natura dell’intervento è già stata sperimentata negli anni della crisi economica 2009-2014 con buoni risultati e con un impegno complessivo superiore ai 30 miliardi. Nel frattempo la riforma degli ammortizzatori sociali ha dotato il sistema di strumenti più articolati, compresi i fondi di solidarietà che possono intervenire per accompagnare nel tempo le situazioni più critiche anche per i settori tradizionalmente non coperti per il sostegno al reddito nel caso di sospensioni delle attività produttive. La scelta di intervenire anche in favore dei lavoratori autonomi e dei professionisti, sia pure con importi limitati e modalità selettive che rendono complesso l’accertamento dei beneficiari, rappresenta una novità importante. E che può offrire spunti di intervento per promuovere nel tempo delle soluzioni strutturali.
Ma è altrettanto inevitabile che la crisi produca degli effetti selettivi nel sistema delle imprese e una spinta ad adeguare le organizzazioni produttive ai nuovi fabbisogni. Un esempio importante, lo abbiamo già sottolineato in un precedente articolo, è rappresentato dalla promozione del lavoro a distanza che è in corso nella Pubblica amministrazione e di molte imprese che erogano servizi all’utenza.
In uscita dalla crisi aumenteranno inevitabilmente i fabbisogni di intervento finalizzati a rendere sostenibile la mobilità dei lavoratori che perderanno il posto e per adeguare le loro competenze. Il nostro apparato dedicato alle politiche attive non è affatto attrezzato a sostenere un simile impegno, soprattutto se si considera il tasso di invecchiamento che è avvenuto nella nostra popolazione attiva.
Oggi più che mai va messa la parola fine alla deriva assistenziale dei provvedimenti per i pensionamenti anticipati e per il reddito di cittadinanza. Urge un ripensamento delle priorità nella destinazione delle risorse. La crisi in atto le sta evidenziando: sostenere gli investimenti, le imprese e le famiglie, e non solo per affrontare l’emergenza.
In generale si sta consolidando, anche tra gli economisti di diverse scuole di pensiero, la convinzione che non basteranno i provvedimenti ordinari, assunti in ambito europeo e dai singoli paesi dell’Ue a generare una ripresa dell’economia. Nelle stesse Istituzioni europee si sta cominciando a prendere atto della sostanziale impossibilità di rispettare i parametri fissati dal Patto di stabilità per i Paesi aderenti.
Ma tutto questo non basta. I sacrosanti interventi dei Governi per tamponare gli effetti della recessione, in assenza di una cornice di impegni e di garanzie offerta dalle istituzioni europee, rischiano di destabilizzare i debiti pubblici con effetti speculativi devastanti. Che purtroppo sono già in atto e che rischiano di compromettere la stessa sostenibilità della moneta unica.
Serve un salto di qualità che vada oltre le tradizionali politiche basate sulla redistribuzione dei fondi europei. Bisogna mobilitare per fini condivisi, e con modalità di utilizzo innovative, fondi pubblici e risparmio privato con agevolazioni fiscali e garanzie europee, per sostenere un massiccio programma di investimenti infrastrutturali, di innovazioni mirate a rendere competitiva e sostenibile l’economia europea, per qualificare le risorse umane.