Come tutti sto vivendo, da quando è emersa l’emergenza, un periodo “interessante” e di scoperta giorno per giorno. Posso dirvi che ricevo al telefono, via chat o tramite contatti indiretti testimonianze di gesti piccoli e grandi che mi riempiono il cuore.
Sono momenti che ci vengono donati e per questo voglio condividere con tutti queste tre testimonianze che possono aiutare voi, come hanno aiutato e rincuorato me, dandomi la forza di vedere il positivo in ogni situazione.
Mi scrive Giovanni, studente e futuro medico di Bologna:
“Questi giorni chiuso in casa sono davvero strani e faticosi. Sento parlare degli operatori sanitari e del loro eroismo in prima linea nelle terapie intensive e nei reparti. Io invece, che diventerò medico tra poco più di 4 mesi, mi trovo bloccato nel seminterrato di casa mia. Sento proprio un’impotenza addosso cui non sono abituato: un ragazzo che fermo non ci sta mai ora si trova a fare i conti con uno STOP inatteso e misterioso.
Fino a una settimana fa in giro per Bologna (tra i bambini cardiopatici del reparto, le sale studio dell’Ateneo e gli incontri con i miei amici). Adesso stando fermo qui. Questo ovviamente non mi impedisce di cercare di usare al meglio ogni istante.
Le giornate trascorrono tra dialoghi con i miei familiari e mille collegamenti con qualunque tipo di software (con gli amici, per le lezioni, per la messa). L’obiettivo è quello di dare un ordine al tempo, di creare una routine costruttiva, quasi una regola monastica. Allo stesso tempo è impressionante vedere come questa convivenza forzata possa essere un’occasione per riscoprire i miei genitori e fratelli, per riaccorgermi che esistono e hanno delle passioni, dei desideri e delle esigenze. Insomma, per imparare a volergli bene.
Come rappresentante degli studenti, sto portando avanti un progetto che dovrebbe renderci possibile dalla prossima settimana l’accesso in ospedale come volontari per servizi. C’è continuamente il rischio di farlo “per farsi belli”, per dire a tutti che “ci siamo”, per illuderci di essere capaci di “salvare il mondo”. Questo rischio mi obbliga a chiedermi continuamente la ragione più profonda per cui ho dato questa disponibilità. Anche in questo sto capendo sempre di più che desidero “imparare a voler bene”.
Credo che la cifra di questi giorni, nei quali sto cercando faticosamente di individuare punti di ordine, verità e bellezza, sia il desiderio che ogni istante della mia vita sia speso per imparare a voler bene a chi mi trovo accanto. Desidero proprio che questa finestra, da cui – direbbe Montale – “l’azzurro si mostra soltanto a pezzi” si apra sempre di più sul mondo, e mi apra sempre di più al mondo.
Pregusto già la novità di tutte le cose che mi piomberà addosso nelle settimane dopo la fine di questo periodo. Voglio gustarmi ogni momento, dal panino mangiato a pranzo velocemente prima di rimettersi sui libri, alla passeggiata con l’amico caro a parlare di ciò che ci sta più a cuore”.
E ancora mi scrive dal “fronte” la mia amica Margherita, medico a Pisa:
“Non è facile trovare parole giuste o adatte. Ti dico quel che trattengo di questo momento così emotivamente complesso: in primo luogo, la consapevolezza che questo è il tempo della verginità. Il modo più vero di abbracciare diventa struggere dal desiderio di farlo e fermarsi quel momento prima, con l’esattezza di quel metro e mezzo prima. Questa distanza, doverosa e imposta, possiamo subirla o amarla. E se l’ami è solo perché sai che l’altro è già abbracciato, è già voluto, è già preso da un Altro, che non sei tu, ma che ci tiene uniti nel suo amore. Questo vale per una coppia, una famiglia, per il mondo intero.
È quasi un mese che non vedo mia madre e mia sorella, che pregano per me e offrono un quotidiano di piccole cose per sostenere me, e con me tanti medici che ora sono chiamati a dare tutto di sé. Mi commuove immaginarle sospirare di sollievo allo squillo del telefono, segnale chiaro che anche per oggi sono uscita e sto bene. E sentire la coscienza con cui stanno a casa, per ‘tenere me tranquilla’ in un’apparente inutilità di tempo che diventa offerta continua.
Il loro sostegno telefonico è poi prezioso nel momento più difficile della mia giornata, ovvero quello dello “stimbro”. Ieri alcuni colleghi erano con le lacrime agli occhi nel momento più duro della giornata, che non è quello in cui, mascherati più o meno nel tentativo di proteggerti, stai lì e lavori; siamo dove dobbiamo stare e non vorremmo sottrarci. Non vorremmo essere da un’altra parte.
La paura vera è quella di entrare dalla porta di casa e contagiare chi abita con te. E anche loro sono i nostri eroi, che soffrono in silenzio spesso, e vivono un continuo affidarsi. Il loro silenzioso sì è il nostro sostegno. Alcuni colleghi sono in albergo, altri in appartamenti da soli. Io per ora ancora a casa con mio marito. Ma piango ogni giorno prima di entrare dalla porta di casa.
Sembra una guerra sì. Oggi siamo quasi baldanzosi, come forse lo erano i nostri militari pieni di amor patrio prima della guerra. Sento le mie amiche di Milano e percepisco che la guerra è sempre peggio di come te la immagini e ho paura. In un Paese in cui non c’è più nemmeno il servizio di leva obbligatorio vedo nei colleghi una dedizione – piena di carità – che mi commuove e mi fa dire che Cristo ha già vinto, in questo popolo, perché abita i nostri cuori, nonostante spesso siamo i primi a non averne coscienza.
Da una settimana ho tolto gli orecchini, quelli che porto sempre, l’ultimo regalo di mio padre prima di morire. Ho tolto la croce dal collo, quella che mi ha regalato Massimo quando mi ha chiesto di sposarlo. Martedì lascerò anche la fede sul comodino. Perché la fede, quella vera, ce l’abbiamo negli occhi e nel cuore”.
Infine, la testimonianza del mio amico Andrea, che in questi anni si è dedicato dopo la morte del figlio per la leucemia a combattere la malattia attraverso un’associazione a lui intitolata, con cui ci sentiamo tutti i giorni, in un abbraccio fraterno che dà respiro alla mia giornata. Mi scrive:
“Combattere una malattia è una partita a scacchi; l’ho imparato durante il percorso di mio figlio Luca. Due anni di lotta contro la leucemia, ogni giorno lì a inghiottire la sua mossa e a pensare come controbatterla. Lì a pensare giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto, secondo per secondo. Lo scacco matto a quella maledetta malattia mio figlio non lo ha subìto, lo ha dato volando in cielo “nel migliore dei modi”.
Ci vuole dignità nel volare via e ci vuole dignità nel poterlo fare, affrontare. Oggi va data dignità a tutti, italiani e non, che abbiamo perso e che perderemo per colpa di questo virus. Non lo si può fare chiudendo le frontiere, non lo si può fare litigando e facendo capricci e torti, omettendo e dimenticando dati a piacimento. Non lo si può fare rubandoci mascherine come se fossero figurine necessarie per completare l’album Panini.
Ci vuole responsabilità di tutti e da parte di tutti! Non va negato lo sbaglio, va ricucito e cancellato: si deve imparare dagli sbagli. Oggi non c’è tempo di sbagliare, non più. Governo, Protezione civile, Regioni, cittadini devono assumersi le responsabilità e gettare il cuore oltre gli ostacoli.
Devi pensarla la mossa, se la improvvisi senza pensare che il tuo avversario possa trarre vantaggio è un rischio. Se lo fai e non ci hai ragionato, sei un irresponsabile; se lo fai volutamente, allora la partita la perderai, ed è più grave. La mossa dello scacco matto ti apre gli occhi, rimani lì a vedere la scacchiera e a pensare a quello che è accaduto”.
Quando la ragione e il cuore non si parlano, la mossa si sbaglia sempre e comunque. Scacco matto.
Ho cercato di condividere le testimonianze che in questo momento mi accompagnano durante le mie giornate, amici che grazie alle loro parole mi testimoniano la Presenza più grande guardando alla quale tutto è positivo. Mi aspetto tutto dalla realtà, tutto il bene per loro, per i miei figli, per mia moglie, tutto il positivo che anche oggi riesco a intravedere e di quale posso essere testimone. Questo è un momento di Grazia assoluta, non ho dubbi al riguardo.