Non è una guerra convenzionale: basti pensare che contro questo nuovo nemico si sta combattendo sostanzialmente senz’armi. È una guerra asimmetrica, ma davvero molto asimmetrica, un bio-attacco che stiamo affrontando con le fionde e che sta riducendo in macerie il nostro tessuto produttivo e commerciale. “Difenderemo le aziende strategiche”, ha promesso il viceministro all’Economia Antonio Misiani, accennando anche alla famosa golden power, la facoltà garantita all’autorità pubblica di intervenire nelle transazioni di mercato riguardanti società qualificate come strategiche, uno strumento introdotto dal governo Monti ma ancora poco concretamente applicato, se non recentemente per le nuove reti 5G.
Oggi, contro la gigantesca recessione innescata dall’epidemia, si attivano quindi 25 miliardi di risorse non disponibili, ossia con un debito che si somma al già per suo conto enorme debito pregresso, e che prima o poi bisognerà saldare in qualche modo. Ma nel maxi-decreto Cura Italia nessuno ha ancora individuato chiaramente uno specifico “settore strategico”, se non quello della sanità – ovviamente. Si parla, a ragione, della necessità di mantenere i posti di lavoro, di una cassa integrazione in deroga estesa, di limitare le esternalizzazioni della produzione e via dicendo. Tutto bene. Ma ancora non è stato citato il settore più strategico che il nostro Paese può vantare. Allora ci sbilanciamo noi: è il turismo. Quel turismo che da solo garantisce (garantiva) oltre il 6% dell’occupazione nazionale.
Il Cura Italia, tra i suoi 127 articoli, ha provveduto al turismo disponendo un sostegno al reddito per il mese di marzo pari a 600 euro per i lavoratori stagionali e degli stabilimenti termali. Per le imprese, la sospensione delle ritenute fiscali e contributive e il rinvio della scadenza Iva di marzo. Sono anche previsti voucher per il rimborso dei pacchetti turistici (compresi i contratti di soggiorno per alberghi e strutture ricettive), e un fondo da 150 milioni per il rilancio dell’immagine del Paese all’estero. Stop. È davvero questa la cura per un settore strategico drasticamente schiantato dagli effetti del Covid-19?
In questi momenti concitati, drammatici e inediti, è chiaro che bisogna cercare di rispondere a tutti, e che ogni comparto reclama maggiore attenzione. Ma proprio per questo bisognerebbe sbilanciarsi e stilare un ordine di priorità, partendo dal presupposto che pochi denari non potranno mai rimettere in moto un settore appunto strategico ma azzerato. Gli investimenti, ben più consistenti, dovrebbero aggiungere alle risorse economiche anche gli strumenti fiscali, perfino giuridici, per alleggerire le procedure e consentire agli operatori margini di manovra più ampi, pur nel rispetto dei diritti di tutti.
A oggi, la stagione primaverile e le vacanze pasquali sono perdute, anche l’estate non si annuncia affatto bene, se non per un’incerta quota di turismo domestico. In realtà, nessuno sa come, e soprattutto quando, usciremo dall’emergenza. Ma è fin troppo facile prevedere il come: malissimo. Serve urgentemente un Cura Turismo che possa limitare i danni a quel 6% di lavoratori italiani, provvedendo anche alla brand protection, al potenziamento delle comunicazioni digitali, alle riqualificazioni. Che crei la svolta giusta per proiettare l’appeal nazionale nell’era prossima ventura, quella PC, il post-Covid.