Nel ventiseiesimo anniversario della morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, la trasmissione Chi l’ha visto – attualmente in pausa causa quarantena – torna eccezionalmente nella seconda serata di oggi, 20 marzo, su Rai3 con una puntata speciale. L’appuntamento dal titolo “Il silenzio della giustizia” si comporrà di 45 minuti di interviste e documenti affinché non cali il silenzio su un caso ancora ricco di misteri. Solo nei prossimi giorni, la Procura di Roma potrebbe esprimersi: sapremo a quel punto se ci sono realmente novità investigative tali da rimettere mano sull’inchiesta o se invece i magistrati sceglieranno la strada del silenzio con una richiesta di archiviazione. Intanto è passato oltre un quarto di secolo senza scoprire chi diede realmente l’ordine di uccidere l’inviata del Tg3 ed il suo operatore, freddati a colpi di kalashnikov a Mogadiscio. Ma soprattutto chi, in un secondo momento, ha fatto in modo che il caso venisse arricchito da depistaggi e false piste, allontanando sempre più dalla verità. Una verità che per anni e fino alla loro morte, i genitori di Ilaria, Giorgio e Luciana Alpi, hanno inseguito senza però ottenere le risposte sperate. La madre, venuta a mancare nel 2018, intraprese sin dal primo processo una lunga battaglia nella speranza di riuscire a far cadere ogni depistaggio sull’omicidio della figlia, uccisa insieme a Miran Hrovatin il 20 marzo 1994.
ILARIA ALPI E MIRAN HROVATIN: GLI OMICIDI 26 ANNI FA
Traffico di armi e rifiuti tossici, erano questi i temi al centro delle indagini che Ilaria Alpi stava compiendo nei primi anni Novanta, e nelle quali era stata rintracciata la presunta complicità dei servizi segreti italiani e di alte istituzioni italiane. Pochi mesi prima della sua morte, sempre in Somalia era rimasto ucciso in circostanze misteriose un informatore della stessa Alpi, il sottufficiale del SISMI Vincenzo Li Causi. La giornalista insieme a Hrovatin furono assassinati in prossimità dell’ambasciata italiana a Mogadiscio dopo un’intervista al sultano di Bosaso che riferì all’inviata di presunti rapporti intercorsi negli anni Ottanta tra alcuni funzionari italiani e il governo di Siad Barre. I due si trovavano nell’auto su cui viaggiavano accompagnati dall’autista Abdi e dal vigilante armato Nur, entrambi scampati all’agguato. Nel corso delle indagini emersero sin da subito i tentativi di occultare la verità, a partire dal modo in cui Ilaria fu uccisa. Se in una prima consulenza era emersa l’ipotesi dei colpi esplosi a distanza, successivamente si parlò di una vera e propria esecuzione. Accusato dei due omicidi fu Hashi Omar Hassan arrestato nel 1998 con l’accusa di concorso in omicidio volontario aggravato e condannato nel 2000 a 26 anni di reclusione. Solo nel 2016 ci fu la tanto attesa svolta: Ashi Omar Hassan fu assolto dopo aver scontato 17 dei 26 anni. Gli omicidi di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, dunque, ad oggi restano senza un responsabile e senza un movente.
“RIAPRIRE L’INDAGINE OPRA SI PUÒ”
Il 26esimo anniversario della morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin giunge in concomitanza con il termine disposto dal giudice per le indagini preliminari di Roma, Andrea Fanelli, che lo scorso ottobre, nel respingere la terza richiesta di archiviazione presentata dalla procura ha disposto nuovi accertamenti investigativi da svolgere in 180 giorni. L’avvocato Giulio Vasaturo legale della Federazione nazionale della stampa Italiana e dell’Usigrai – costituitesi parti civili nel procedimento penale – si è espresso nei giorni scorsi, come riferisce Articolo21, asserendo: “Confidiamo che in questi sei mesi la Procura di Roma abbia raccolto elementi utili a chiarire una volta per tutte lo scenario reale del duplice omicidio e soprattutto, aspetto fondamentale, tali da riaprire un’inchiesta che taluni vorrebbero chiusa al più presto, senza colpevoli”. Il legale prosegue asserendo: “Anche se non posso rivelare i dettagli dell’inchiesta in corso posso dire che il nuovo filone di indagine si è concentrato, fra l’altro, sulle attività dell’organizzazione Gladio, operate in Somalia all’inizio degli anni Novanta”. Tuttavia ci sarebbero ancora molti lati oscuri della vicenda: “Ritorniamo a chiedere la desecretazione di tutti gli atti conservati negli archivi dei servizi segreti. Trascorsi oltre 25 anni dai fatti non ha più senso nascondersi dietro il segreto di Stato e occultare prove che possono risultare decisive”, tuona oggi il legale che auspica nella messa a disposizione di tutto il materiale d’inchiesta. “Noi continueremo nel percorso di verità e giustizia intrapreso da Giorgio e Luciana Alpi. E non ci fermeremo fin tanto che non otterremo ciò per cui non abbiamo smesso di lottare”, ha concluso.