È trascorso ormai un mese dal giorno in cui la Lombardia è stata colpita dalla diffusione del coronavirus e del Covid-19 e la crescita esponenziale del contagio ha aggredito il sistema sanitario lombardo con una violenza senza precedenti. Ogni giorno la Protezione civile rende noti i freddi numeri che descrivono lo sviluppo di questa epidemia: numeri che hanno messo in seria difficoltà uno dei migliori sistemi sanitari italiani.
Da questo stress è scaturita l’urgenza del Governo di estendere le restrittive misure di contenimento per i cittadini lombardi a tutto il territorio nazionale. Il messaggio è chiaro: se il Covid-19 ha messo in sofferenza il sistema sanitario lombardo, è essenziale arginare da subito la diffusione dell’epidemia nelle altre regioni, perché è probabile che nessuno (o pochi) degli altri venti sistemi sanitari reggerebbe un urto così forte.
Il merito di questa azione di strenua resistenza è in primis dei professionisti che operano nel settore, protagonisti spesso sviliti da una narrativa giornalistica ingorda di singoli errori e mai attenta alla qualità complessiva di un servizio che abbiamo troppo spesso considerato scontato.
Ma i professionisti devono essere inseriti in un’organizzazione che consenta loro di operare nel miglior modo possibile e l’organizzazione del sistema sanitario lombardo è il risultato dell’epocale riforma del 1997 emanata dalla prima giunta Formigoni.
Quella riforma, passata alla storia come legge 31, prese il via dalle precedenti evoluzioni normative nazionali, ideando un sistema sanitario regionale caratterizzato da principi che lo rendono ancora oggi unico nel panorama nazionale. Un sistema sanitario dove soggetti pubblici e privati coesistono nell’erogazione dei servizi sanitari ai cittadini. Un sistema, inoltre, dove ai cittadini lombardi è data libertà di scelta del luogo in cui farsi curare.
Osservando ciò che accade in questo periodo, la domanda diventa: stiamo osservando un sistema sanitario che nel tempo si è dato una struttura tale da consentire di fronteggiare questa inedita sfida, oppure siamo di fronte a un sistema che è stato maltrattato a tal punto da andare in crisi di fronte a questo contagio?
Purtroppo, nonostante le difficoltà che il Paese sta attraversando, parte dell’informazione scarsamente competente insiste nell’analizzare il caso lombardo con l’ideologia anziché con i numeri. La (loro) teoria è che in generale il sistema sanitario nazionale sia stato sacrificato con un taglio della spesa che ha danneggiato il settore pubblico e al contempo, in Lombardia, la connivenza tra politica e settore privato ha danneggiato il sistema regionale al punto da renderlo inadeguato ad affrontare l’epidemia. In particolare, viene messa in discussione la dotazione di posti letto, tanto ridotta da mettere in crisi il sistema in poche settimane di emergenza da Covid-19. Allo stesso tempo farneticano che la spesa sanitaria aumenta in modo inefficiente per la presenza di ospedali privati nel sistema sanitario.
Vediamo alcuni dati che ci aiutano a comprendere la realtà. In primis, analizziamo se la compartecipazione di erogatori pubblici e privati alla sanità lombarda ha inciso sul costo pro-capite del servizio sanitario. Regione Lombardia ha aumentato la spesa sanitaria dal 2002 al 2018 (ultimo dato disponibile) passando da 12.710 milioni di euro a 19.866 milioni di euro con un incremento di spesa del 56%. Durante lo stesso periodo, la spesa sanitaria complessiva di tutte le altre Regioni è passata da 66.266 milioni di euro a 96.133 milioni di euro con un incremento del 45%. Ma se da un lato la spesa complessiva è cresciuta, è interessante osservare anche il grafico in Figura 1, che riporta l’andamento della spesa pro-capite per i servizi sanitari.
Come si può notare, a fronte di un maggiore incremento di risorse dedicate al sistema sanitario, il costo pro-capite in Lombardia per la sanità è progressivamente sempre più basso del costo pro-capite che sostengono le altre regioni italiane. Come dire che dal 2002 ad oggi i cittadini lombardi, rispetto ai cittadini residenti in altre regioni, hanno potuto usufruire di un servizio che ha ricevuto maggiori finanziamenti a fronte di un costo unitario inferiore. Già questo è un solido indizio contro la tesi che la sola presenza di ospedali privati in un sistema sanitario abbia necessariamente portato ad una maggiore spesa.
Veniamo ora al secondo punto, che riguarda la bed capacity, vale a dire la disponibilità di posti letto in terapia intensiva, il punto nevralgico che il nostro sistema sanitario deve affrontare nel momento in cui è investito dal dilagare dell’epidemia di Covid-19.
I dati messi a disposizione dal Ministero della Salute, riportati nella Tabella 1, evidenziano come la Lombardia avesse già prima dell’esplosione di questa epidemia, la maggiore dotazione organica di letti in terapia intensiva. L’emergenza imprevedibile che deve affrontare in questi giorni il sistema sanitario lombardo ha costretto il governo regionale a portare questa dotazione a 1.200 posti letto.
Ciò che emerge con evidenza dalla tabella è che l’aumento esponenziale di cittadini contagiati in Lombardia finirebbe per travolgere ogni altro sistema sanitario in Italia, mentre ad oggi quello lombardo regge, mostrando una capacità reattiva encomiabile.
Regione Lombardia sta affrontando questa sfida coinvolgendo tutti i soggetti che compongono il sistema indipendentemente dalla loro natura giuridica, pubblica o privata. Ed è proprio la cooperazione di tutti gli ospedali lombardi che sta consentendo al sistema di reggere, contrastando nel miglior modo possibile questa situazione
Mai come in questi drammatici giorni abbiamo avuto conferma che l’aggettivo “pubblico” che qualifica i servizi alla persona non si riferisce a un mero concetto giuridico, ma evidenzia l’azione svolta dagli stessi in favore di noi cittadini.
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