Finché certe denunce le fa uno come me, tutto rientra nella norma di quello che viene definito allarmismo. Qualche simpaticone azzarda addirittura il termine catastrofismo, salvo poi sparire dalla circolazione, come avvenuto da tre settimane a questa parte. O ritagliarsi ulteriore spazio di ridicolo, dando vita a battaglie di retroguardia contro l’utilizzo dei fondi del Mes, come se questo Paese non fosse già oggi in default conclamato, dati prospettici del Pil alla mano. Diverso è quando una delle testate più autorevoli del settore finanziario come Bloomberg è costretta ad alzare bandiera bianca e ammettere la realtà per quella che è: ovvero, il primo intervento emergenziale della Fed è stato reso necessario per evitare una catena di default fra gli hedge funds in stile Ltcm. Ma al cubo. Insomma, la Banca centrale Usa ha utilizzato il panico da coronavirus sui mercati per dare vita a quello che è stato un palese salvataggio pubblico di fondi speculativi. Nero su bianco.
Nella fattispecie, la denuncia dell’agenzia finanziaria si riferisce al 12 marzo, quando la Fed diede vita al suo bazooka emergenziale sul mercato repo, arrivando a operare aste da 500 miliardi di disponibilità, poi addirittura replicate nell’arco dello stesso giorno. Perché lo ha fatto? Ecco Bloomberg: “Gli hedge funds sono soliti prendere in prestito denaro dal mercato repo per operare sul popolare basis trade, di fatto lo sfruttamento del differenziale di prezzo fra Treasuries e futures. Visto che il livello di indebitamento dei vari fondi rappresenta una metrica seguita con attenzione, si è scoperto che in alcuni casi l’utilizzo di leva da parte di alcune istituzioni finanziarie era arrivato fino a 50x. L’esposizione di alcuni leveraged funds aveva toccato anche quota 650 miliardi di dollari, stando ad alcuni strategist di JP Morgan”.
E come si è arrivati a quell’apocalisse sfiorata? Il catalizzatore sarebbe stato proprio il crollo dei rendimenti dei Treasuries, arrivati allo 0,31% sul decennale e sotto l’1% per quanto riguarda il trentennale. Una situazione che ha colto i fondi speculativi esposti totalmente con la guardia abbassata, a tal punto che – conferma il report di Bloomberg – si era in palese difficoltà anche a completare i trades. Morale? “Questa situazione si è rivelata un fattore di contributo fondamentale rispetto alla decisione della Fed di mettere in campo 5 triliardi di dollari per mantenere operativi i mercati”. Ma guarda un po’. Ora che lo ha certificato un’agenzia autorevole e certamente non anti-mercatista come quella statunitense, ci credete? Oppure davvero dobbiamo andare avanti ancora per molto a prenderci per i fondelli con la storia del coronavirus che ha innescato una crisi senza precedenti dal nulla, impattando in maniera devastante su economie e sistemi finanziari che fino a gennaio erano invece sanissimi, solvibili e funzionali?
Lo ripeto per la millesima volta: il virus è stato solo il detonatore. Non si può dare la colpa solo al cerino acceso, se prima si è scientemente inondato di benzina tutto il circondario. Volete un’altra riprova? Guardate questi grafici: il primo ci mostra come la scorsa settimana, la Fed abbia immesso nel mercato solo in seno al programma di Qe – quindi non calcolando le alluvionali operazioni repo – liquidità per un controvalore quasi doppio rispetto all’intero mese di marzo del 2009, ovvero in pieno fall-out da crollo di Lehman! Il secondo grafico, invece, riassume per punti e per giorni gli interventi già messi in atto dalla stessa Federal Reserve a partire dal 28 febbraio per cercare di sostenere il mercato – e non l’economia, come dice qualche genio – e fallendo miseramente: scusate, trattasi o meno di un clamoroso salvataggio pubblico di Wall Street? Trattasi o meno del denaro degli statunitensi che, per la seconda volta in un decennio, viene stampato con il ciclostile per tamponare i danni miliardari di chi abusa dell’azzardo morale per fare soldi sui soldi? Trattasi o meno della “ricompensa” che il sistema sta offrendo ai soggetti che per almeno due anni e mezzo hanno sostenuto la panzana dell’economia più forte dal 1969, operando buybacks sistematici grazie ai soldi ottenuti a pioggia dall’emissione di debito a tasso zero?
È un clamoroso, vergognoso e criminale schema Ponzi a livello globale, altro che libero mercato o liberismo selvaggio. Qui siamo all’antitesi del liberismo, visto che fino a prova contrario il libero mercato presuppone il concetto di rischio, mentre qui si opera tranquillamente con il paracadute della Fed sempre a portata di mano e pronto a essere aperto: questo è socialismo di mercato della peggior specie, siamo all’Unione Sovietica del capitalismo. La Cina, in tal senso, ha fatto scuola. E la base di tutto sta proprio nell’abuso strutturale del Qe a livello mondiale: dal 2009 in poi, il concetto stesso di responsabilità di mercato non esiste più. Sono stati azzerati i rating, le valutazioni, i criteri di valutazione macro, le metriche di sostenibilità, la sostenibilità dei multipli sugli utili, il fair value e la price discovery. Siamo al capitalismo del “ti piace vincere facile”, esattamente come con i subprime nel 2007-2008: ancora una volta, come se nulla fosse accaduto.
E adesso? Adesso si andrà anche oltre, preparatevi. Perché con la scusa di sostenere l’economia, la Fed sta preparando il varco del Rubicone: dopo commercial papers e muni-bonds, sta per accettare anche debito corporate come collaterale nelle operazioni di rifinanziamento o espansione monetaria, chiamatela come volete. A mio avviso, è solo una latente e travisata monetizzazione del debito. Tanto per cominciare, ieri – due ore prima che Wall Street aprisse le contrattazioni e con i futures in profondo rosso – ha annunciato una nuova ondata di programmi ad hoc, fra cui un Qe illimitato negli ammontare e nella durata e 300 miliardi di schema di sostegno alla cosiddetta Main Street, tanto per non scordarsi che siano in anno di elezioni. Voilà, nell’arco di dieci minuti i futures avevano dimezzato le perdite e un’ora prima della campanella erano in orbita.
Quanto durerà, stavolta? Difficile dirlo. In compenso, segnatevi la data di ieri sul calendario delle sciagure. Con la mossa di ieri, ovvero aver sdoganato il concetto di espansione monetaria open-ended, senza fine né limiti, la Federal Reserve ha cambiato le regole del gioco globale per sempre. Nulla, veramente, sarà più come prima. Nel bene e nel male, perché se ancora non dovesse bastare, nell’arsenale a disposizione di Jerome Powell sarebbe rimasto davvero poco. In caso il mercato andasse di nuovo in stallo, stante una margin call a livello mondiale che va ben oltre anche i 12 triliardi ipotizzati da JP Morgan, sarà il turno dell’intervento diretto sulle equities, probabilmente con l’acquisto di Etf sull’esempio della Bank of Japan. La quale, la scorsa settimana ha dovuto ammettere una perdita netta di 27 miliardi di dollari sulle proprie detenzioni in sole due settimane.
Speriamo tutti che funzioni, quantomeno avremo piastrellato il nostro cammino verso il disastro, ma avremo guadagnato qualche anno: se dovesse fallire, qualche Stato – e non azienda o banca o fondo – salterà come un tappo di bottiglia. Signori, parliamo di Banche centrali che operano come hedge funds, non so se vi rendete conto a che punto siamo arrivati. Tutto per colpa di un virus che fino all’altra settimana gli Usa minimizzavano a banale influenza? E attenzione, perché nei mercati del Nord Europa cominciano a circolare voci di blocchi dei riscatti da parte di hedge funds, decisamente propensi ad alzare i gates per bloccare i fondi di chi vorrebbe scendere dalla giostra prima di ritrovarsi in mutande. La stessa Goldman Sachs la scorsa settimana ha iniettato 1 miliardo di dollari in alcuni suoi portfolio money-market per tamponare la fuoriuscita di clienti, visto che gli outflows avevano registrato la cifra record di 8,1 miliardi di dollari in quattro giorni di trading. La banca d’affari ha acquistato 722,4 milioni di dollari in assets dal suo stesso Financial Square Money Market Fund e altri 301,2 dal Goldman Sachs Find Square Prime Obligations.
Lo chiamano “supporto al mercato”, è solo disperazione da palla di neve che rotola a valle sempre più velocemente, diventando valanga. E Goldman non ha agito in solitaria, visto che contemporaneamente è dovuta intervenire anche Bank of New York Mellon, la quale ha “sostenuto” il suo Dreyfus Cash Management due volte solo la scorsa settimana con circa 2,1 miliardi di cash. Signori, chiamatela pure come volete, continuate pure a negare comodamente la realtà, ma, per favore, in coscienza prendete atto che questa è tutto tranne che una crisi dovuta al coronavirus. Questo è un altro 2008, puro e semplice. Ma con molte più criticità e molte meno risposte. Il Leviatano monetarista è tra noi, dalle banconote Usa toglieranno la scritta In God we trust e metteranno In debt we trust.
Auguri, ne abbiamo bisogno. Perché la strada imboccata può avere solo un epilogo: in caso contrario, non c’è via d’uscita.