Gentile direttore,
passeggiata mattutina attorno a casa. Sui balconi di alcuni condomini la frase più diffusa (come un mantra che ti accompagna): “andrà tutto bene”.
La stoffa della scritta sciupata e un po’ lacerata dal vento e dal sole di queste prime giornate primaverili diventa come il segno di quel “piccolo” disagio che vorresti scacciare, ma che gradatamente aumenta: “e se non andasse tutto bene?”.
Le strade ormai quasi deserte, le iniziali code ai supermercati e “neanche un prete per chiacchierar” cominciano a farsi sentire.
Alla sera l’ultima comunicazione del Presidente del Consiglio Conte che annuncia la necessità di un’ulteriore stretta. Proviamo anche questa. Obbediamo. Speriamo sia utile, ma se non lo fosse? Cosa rimarrebbe da fare? Cosa chiudere, fermare ancora?
Il pensiero corre a volti di imprenditori o di lavoratori che conosci, al sacrificio che esso comporta e ai tanti volontari amici per i quali l’assistenza al bisognoso, al povero, al disagiato non può essere virtuale, ma anche alla urgenza di stringere i contagi e fermare quei conteggi delle ore 18.00.
E’ passato solo un mese dai primi annunci di coronavirus in Italia che ci appariva come una fastidiosa parentesi da sopportare in attesa di continuare la vita di tutti i giorni e nella quale ognuno aveva la ricetta giusta o l’amuleto adatto. Un mese soltanto e sembra un’altra vita.
Quanto e tanto abbiamo dovuto cambiare di noi stessi, del nostro modo di vivere e di morire!
Dalla “promiscua” quotidianità che sembra far risuonare nella nostra mente le parole di Cormac McCarthy “nessuna lista di cose da fare. Ogni giornata sufficiente a se stessa. Ogni ora” al dolore della solitudine degli ammalati e della morte dei nostri amici o conoscenti.
Cerchiamo magari affannosamente nel volto virtuale dell’amico collegato in video quella carnalità che l’abitudine stessa del rapporto aveva ridotto, mentre l’impotenza del non poter più “fare qualcosa” sembra aumentare lo sconforto.
Ma davvero lo sconforto è l’unica via obbligata?
“In questa situazione inedita, in cui tutto sembra vacillare, aiutiamoci a restare saldi in ciò che conta davvero” ha detto papa Francesco nel messaggio al rosario proposto dalla Conferenza Episcopale Italiana giovedì scorso nella stupenda preghiera di intercessione a San Giuseppe, aggiungendo “per necessità i nostri spazi possono essersi ristretti alle pareti di casa, ma abbiate un cuore più grande, dove l’altro possa sempre trovare disponibilità e accoglienza”.
Nei momenti difficili, dove lo sconforto sembra prevalere “vengono in nostro aiuto presenze veramente «amiche», che ci testimoniano la strada che ci consente di vivere una situazione come quella attuale” ha scritto Julian Carròn.
Possono avere il volto del figlio o della moglie nelle quattro mura di una stanza o del medico o dell’infermiera nel reparto ospedaliero, c’è sempre una traccia di cielo che il nostro cuore può intercettare.
Appunto, come scrisse Alda Merini. “ lo sconforto non tiene conto del firmamento”.
(Stefano Dondi)