Dalla fine di gennaio i governi di tutto il mondo sono stati costretti a confrontarsi con uno scenario inatteso: il ritorno di una pandemia. Non tutti hanno reagito allo stesso modo e con gli stessi tempi. Prima di fare una rapida analisi dalle reazioni e dalle azioni intraprese dai singoli, proviamo a sintetizzare di seguito alcune tra le variabili principali che entrano in gioco nell’adozione di misure e strategie nazionali mirate al contenimento di un virus in assenza di vaccini e di farmaci, definite in letteratura con l’acronimo “NPls” (Non-Pharmaceuticals interventions):
– il tempo (nelle varie accezioni che vedremo);
– il fattore “R0” (indice di trasmissione);
– il tasso di mortalità;
– la capacita del sistema sanitario nazionale (n. posti letto di terapia intensiva);
– disponibilità di strumenti di misurazione del contagio (tamponi e test);
– disponibilità di strumenti per la stratificazione della popolazione sulla base di fattori anagrafici ed epidemiologici (fattori di rischio);
– disponibilità di sistemi di tracciamento dei contatti.
L’adozione di una strategia piuttosto che di un’altra avrà differenti impatti sugli ecosistemi del Paese. Per prendere decisioni ragionate ogni impatto dovrebbe essere adeguatamente riclassificato con un’analisi costi-benefici. Gli impatti da tenere sotto controllo e governare nell’adozione delle policy di gestione dell’emergenza possono essere così semplificati:
– impatti sul sistema sanitario;
– impatti demografici e dinamiche previdenziali;
– impatti sociali e sugli stili di vita;
– impatti macroeconomici;
– impatti sul debito pubblico.
Inoltre, molte delle variabili esposte sono fortemente correlate tra loro e sono suscettibili di variare in maniera significativa al variare della tempestività (fattore tempo) con la quale sono adottate le scelte. Altre variabili sono invece anelastiche, date, e difficilmente modificabili se non in tempi tecnici non immediati (ancora il fattore tempo in diversa maniera). Ad esempio, mentre esiste una correlazione forte tra l’adozione di una strategia di soppressione e l’indice R0 (ed essa è tanto più efficace e significativa quanto più tempestiva è la sua adozione), la stessa decisione non influenza in alcun modo la capacità massima del sistema sanitario (intesa quale niumero massimo di posti letto di terapia intensiva) la quale – di contro – influenza in maniera molto significativa il tasso di mortalità (che dipende dalla capacità del sistema sanitario di curare sia il virus incombente che, in contemporanea, tutte le altre patologie acute che ordinariamente si presentano). Analogamente l’impatto di una strategia di mitigazione ha effetti molto pesanti in termini di aumento del tasso di mortalità (in particolare sulla fascia di popolazione over 65), ma porterebbe un significativo alleggerimento del costo sociale previdenziale nel medio periodo e le risorse liberate potrebbero essere destinate al potenziamento del servizio sanitario.
In altre parole: non esiste una strategia migliore di un’altra: quello che conta è il tempo (inteso come tempestività dell’adozione delle misure) e la capacità di valutare l’effetto combinato del mix adottato per le variabili in gioco e per gli impatti attesi, nel rispetto di parametri morfologici, politici, economici ed etici di una nazione.
La letteratura riporta tre approcci strategici nella gestione delle pandemie. Ognuno fonda le proprie radici su alcune convinzioni di base. In particolare, i primi due approcci (Do nothing e Mitigation) si basano su una gestione soft del contrasto ai contagi. L’idea di fondo di entrambi gli approcci è che in una pandemia il miglior contrasto sia la cosiddetta immunità di gregge. Ne deriva che ogni sforzo che abbia pesanti ricadute sull’economia del Paese e sulla qualità della vita delle persone rappresenta un costo sociale da evitare, atteso che il contagio è inevitabile: sarà solo una questione di tempo (ancora una volta il tempo in una diversa declinazione). Come dire che quando il nemico è troppo forte bisogna subirlo, non combatterlo. La curva standardizzata delle due strategie in esame rappresenta il tasso R0 di diffusione del contagio. La strategia “Do Nothing” si traduce in: “prima è meglio è”. “Poi sarà tutto finito e la popolazione sarà immune”. La Mitigazione focalizza invece nel rallentare – ma non necessariamente stoppare – la diffusione epidemica riducendo il picco di domanda di assistenza sanitaria mentre si proteggono i pazienti per il quali i danni potenziali dall’infezione avrebbero effetti severi.
Detta così verrebbe da chiedersi allora perché tutti i governi si affannino a trovare soluzioni differenti, da quelle appena illustrate.
La risposta la troviamo analizzando il caso UK: Boris Johnson il 13 marzo, con un discorso che passerà alla storia, ha comunicato agli Inglesi il sacrificio programmato dei loro cari, abdicando all’adozione di misure restrittive in nome della esigenza nazionale suprema di non compromettere lo stato di salute dell’economia nel Regno Unito. Il 23 marzo (solo dieci giorni dopo) arriva la clamorosa inversione a U: la Gran Bretagna ha adottato misure restrittive senza precedenti (Coronavirus Bill). Un lockdown in piena regola con poteri straordinari affidati alla polizia per imporre il rispetto delle regole. Cosa non funziona nel modello illustrato? Un altro grafico potrà aiutarci a comprendere:
Il grafico (tratto da uno studio di grande interesse scientifico pubblicato da Tomas Pueyo), utilizzan un calcolatore epidemico on line che simula gli effetti di una strategia Do Nothing negli Stati Uniti: si rischiano 10 milioni di morti. Com’è possibile? Ipotizzando un R0 di 2,4 e un tasso di mortalità del 4% succede questo: 10 milioni di persone necessiteranno di ospedalizzazione e circa 3 milioni di terapie intensive. Negli Usa i posti totali di terapia intensiva sono 50.000 e i ventilatori polmonari meno di 100.000. Se il 5% dei tuoi ricoverati ha bisogno nello stesso momento di terapie intensive e il sistema sanitario non ha la capacità adeguata per rispondere, almeno il 4% dei pazienti morirà. Se il 75% della popolazione Usa (327 milioni) si infetta, abbiamo una platea di 245 milioni di malati. Se il sistema sanitario non riesce a offrire una risposta ospedaliera a tutti si stima un tasso di mortalità del 4%: 9,81 milioni di persone. Ora probabilmente sarà più chiaro come mai nel giro di dieci giorni nel Regno Unito si è passati da un approccio Do Nothing a un approccio Soppressione.
La strategia Soppressione fonda la sua efficacia nel distanziamento sociale severo e nell’isolamento dei soggetti infetti per “diluire” nel tempo il contagio e rendere la gestione dell’emergenza meno drammatica (ma certamente più lunga). In sintesi: guadagnare tempo come obiettivo principale. Ci vorrà molto tempo, ma ne usciremo, il sistema sanitario non collasserà, scaglioneremo e ridurremo i contagi e di conseguenza le morti, eviteremo il panico diffuso e il caos. Il prezzo da pagare però sarà tanto più alto quanto più a lungo dovranno essere mantenute le restrizioni della libertà personale, con un costo sociale altissimo e senza garanzia alcuna che alla fine il virus sarà debellato o che – ancora peggio – i danni del lockdown non abbiano superato i danni della pandemia combattuta.
Un recente studio dell’Imperial College of London ha tuttavia messo in discussione la reale efficacia della Soppressione, evidenziando gravi limiti della strategia afferenti la durata del blocco per un tempo troppo lungo e i danni conseguenti per il sistema sociale ed economico cui si aggiunge (e questa è la variabile maggiormente negativa) un’inevitabile seconda ondata di virus al primo allentamento delle misure di allontanamento sociale, con un’amplificazione dei danni collaterali per un tempo difficile da calcolare.
Lo studio dell’Imperial College, per quanto autorevole, ha tuttavia clamorosamente sottovalutato la variabile tempo e il suo impatto contestuale su tutte le variabili in campo. Nei 14 giorni seguenti all’adozione di misure di drastico isolamento si verifica una circostanza che diventa decisiva per il futuro: il tasso Ro inizia la discesa verso il basso. E quando il tasso scende sotto 1 la rappresentazione grafica diventa la seguente:
In altre parole la diminuzione programmata dei contagi consente al sistema di guadagnare tempo; e il tempo è l’arma principale in assenza di farmaci e vaccini per scaglionare gli accessi presso le strutture ospedaliere e la connessa richiesta di terapie intensive. Il tempo serve ad attrezzare nuove strutture dedicate alla ricettività degli infetti con posti aggiuntivi di terapia intensiva; il tempo serve ad acquisire sul mercato dispositivi di protezione individuale, ventilatori polmonari e ad aumentare le linee produttive nella filiera mondiale dei produttori; inoltre, se il sistema sanitario non collassa avrà il tempo di riorganizzarsi e di rispondere a emergenze diverse da quella del coronavirus, evitando morti collaterali; in sintesi, dunque, è dimostrato che misure severe di distanziamento sociale, isolamento e lockdown portano con sé un recupero immediato di risposta del sistema sanitario e incidono in una riduzione di Ro e del tasso di mortalità già entro 14 giorni dall’adozione.
Tali vantaggi saranno tanto maggiori quanto più tempestiva sarà stata la decisione di Soppressione. Il caso della provincia di Hubei oramai fa scuola: una provincia di 60 milioni di abitanti (quanti ne fa l’Italia) in poche settimane ha azzerato i contagi mediante il ricorso a lockdown e Soppressione severa. Ecco che emerge in tutta la sua importanza il fattore tempo inteso come tempestività di adozione delle misure. In Cina le decisioni sono intervenute a pochissima distanza dalla individuazione dei primi casi, e senza passare per strategie interlocutorie di mitigazione che aumentano unicamente Ro e limitano notevolmente le successive (e indispensabili) attività di individuazione dei soggetti infetti (o solo potenzialmente infetti) e di separazione dai soggetti sani.
Ecco che emerge dunque un elemento nuovo nell’adozione di strategie di Soppressione: il tempo che si guadagna deve essere usato dalle istituzioni per intervenire in maniera sistematica sulla popolazione al fine di isolare gli infetti dai potenziali infetti e soprattutto dai sani. E prima lo si fa più in fretta arriveranno i risultati.
Analizziamo ora cos’è successo nel nostro Paese. L’iter che ha condotto all’adozione di una strategia di Soppressione severa assomiglia a una fattispecie a formazione progressiva. Si è passati da un approccio di Mitigazione a un crescendo di divieti e prescrizioni limitative e di distanza sociale peraltro diversamente recepiti nelle Regioni che spesso hanno legiferato in maniera estensiva rispetto ai vari Dpcm (è il caso della Campania) ovvero hanno diversamente interpretato il portato normativo. Con quali effetti?
Due quelli degni di nota. Il ritardo nella chiusura degli spostamenti da Regioni rosse a Regioni non ancora infette ha determinato (e determinerà ancora) un significativo aumento di Ro i cui effetti dannosi non si sono probabilmente ancora manifestati (in particolare nelle Regioni meridionali); il ritardo nell’adozione di misure in materia di estensione massiva dei test e dei tamponi (non ancora colmato se non in maniera isolata ed autonoma da alcune Regioni come Veneto e Lombardia) rischia di vanificare in larga misura i pesanti sacrifici cui la popolazione è stata sottoposta. Non a caso l’Italia vanta una serie di tristi primati: è seconda nella classifica mondiale dei contagi, prima in quella dei morti, terza in quella dei ricoverati.
Vi chiederete: ma com’è possibile tutto ciò dopo tutte le misure drastiche adottate? Esistono due tipi di risposte. La prima è la conferma assoluta che il timing e la fermezza nelle decisioni è la variabile strategica per eccellenza. La seconda è il tempo che deve intercorrere tra causa ed effetto. La dimostrazione dell’efficacia (sebbene con notevole ritardo rispetto a quanto sarebbe stato possibile fare) delle misure intraprese è nel grafico che segue, che traccia il trend di Ro nel mese di marzo e che negli ultimi due giorni fa (finalmente) registrare lo sfondamento del tetto del valore uno, soglia materiale e psicologica per l’inizio di un percorso di inversione di tendenza della curva gaussiana dei contagi.
Quello che dobbiamo piuttosto chiederci ora è: per quanto tempo ancora bisognerà mantenere le misure restrittive? Queste misure sono sufficienti? Abbiamo fatto abbastanza o bisogna fare altro? E cosa? Il Presidente del Consiglio ha già varato un nuovo Decreto con innalzamento delle sanzioni per chi viola le regole anti-contagio da 400 a 3.000 euro. Il Presidente di Confindustria aveva lanciato un allarme: “Lo stop delle aziende costa 100 miliardi al mese“. Eccoci ripiombati nel dilemma del prigioniero ai tempi del coronavirus: prolungare più a lungo possibile mette al sicuro il sistema sanitario e salva il maggior numero di vite umane. Ma ogni mese che passa si distrugge il tessuto imprenditoriale e produttivo con un costo sociale che potrebbe alla fine risultare ben più dannoso per il Paese, determinando per altro verso recessione sistemica e povertà. In altre parole, non moriremo di coronavirus ma di fame!
Quando tutto sembra perduto arriva la speranza: alle misure di distanziamento sociale va affiancato l’utilizzo massivo di test veloci su segmenti predefiniti di popolazione, stratificati sulla base di fattori anagrafici, epidemiologici, sociali e territoriali con l’obiettivo di individuare classi di rischio cui applicare regole differenti di distanziamento sociale. E il rispetto delle regole (fondamentale per il raggiungimento e il mantenimento degli obiettivi di soppressione) deve essere affidato e garantito dall’utilizzo massivo di app e big data. Gli esempi di strategie vincenti li abbiamo sotto gli occhi: Corea del Sud, Singapore, Israele. Numerosi articoli sul tema negli ultimi giorni hanno evidenziato la differenza culturale sociale e politica che fa da sfondo al proficuo utilizzo di strumenti del genere evidenziando come il popolo italiano non sia pronto (sia per cultura che per tradizione) a un Grande Fratello di Stato. L’altro tema che sempre emerge non appena si invoca l’utilizzo di app, big data e sistemi di tracciatura in Italia è il diritto alla privacy (in tutte le declinazioni del Gdpr) e l’ombra dei sistemi dittatoriali.
Intanto però dovrebbe essere tristemente chiaro a tutti che quanto messo in campo sinora non basta e non sarà risolutivo in assenza di decisioni strategiche in materia di test rapidi massivi e di tracciatura rapida e smart dei cittadini.
Il capo della Protezione Civile ha affermato: “credibile un malato trovato ogni 10 non censiti” – “l’epidemia del coronavirus più veloce della nostra burocrazia“. Il Direttore Generale dell’Oms ha affermato: “Per vincere dobbiamo attaccare il coronavirus con tattiche aggressive e mirate: testare ogni caso sospetto, isolare e prendersi cura di ogni caso confermato e rintracciare e mettere in quarantena ogni stretto contatto“.
Il percorso dunque è tracciato. A farlo è stata la massima autorità mondiale in materia. Ora sta a ogni nazione trovare gli strumenti più adeguati (ma soprattutto più tempestivi) per intraprendere il cammino. A me pare ragionevole ipotizzare poche semplici azioni per raggiungere mettere in atto rapidamente la strategia:
1) dividere la popolazione in 3 grandi cluster per fascia di età (fino a 55, da 55 a 65 ed over 65);2) mettere in quarantena obbligatoria la classe over 65;3) somministrare test rapidi (e tamponi mirati) alle due classi residue partendo dalla classe più anziana nel minor tempo possibile;4) isolare i casi positivi o potenzialmente positivi e metterli in quarantena dotandoli di app device indossabili e sistemi per il monitoraggio sia delle condizioni di salute che degli spostamenti;5)isolare i soggetti sani da quelli infetti consentendo loro spostamenti per ragioni di lavoro e progressivamente per ragioni personali a condizione di monitorarli quotidianamente con il sistema di app e device al fine di intercettare tempestivamente eventuali mutamenti dello stato di salute ed intervenire con le misure di quarantena
In tal modo sarebbe possibile far ripartire il comparto produttivo, il commercio, la vita sociale del paese mantenendo Ro a livelli molto bassi e comunque costantemente inferiori a 1 (con tutti i benefici sinora diffusamente rappresentati).
Ai tanti che leggendo questo articolo eccepiranno la compressione dei diritti individuali e della privacy, dopo aver rammentato che in molte città oggi si vive in un clima da coprifuoco con l’esercito alla porta di casa rispondo con una frase presente nello stemma dell’esercito italiano: “Salus rei publicae suprema lex esto” (Cicerone, De Leg., IV).