La linfocitopenia può rappresentare un importante segnale predittivo del fatto che un’infezione da Coronavirus sia grave o meno? Negli ultimi tempi, in parallelo alle ricerche in merito a delle cure e oltre alla rincorsa al vaccino, sono stati resi noti alcuni interessanti studi in merito ai pazienti contagiati da Covid-19 e stando a una ricerca cinese pubblicata di recente sul “New England Journal of Medicine” (e coordinata da Zhong Nanshan, specialista delle malattie respiratorie) pare che tra i sintomi debba essere annoverata anche quella che è conosciuta pure come linfopenia, ovvero la riduzione del numero di linfociti nel sangue. I linfociti, come è noto, sono quelle cellule che fanno parte del sistema immunitario adattivo e che sono in grado di generare oltre che di modificare quegli anticorpi i quali a loro volta sono in grado poi di riconoscere gli antigeni. Affinché possa sussistere una condizione di linfocitopenia il numero dei linfociti in un adulto deve essere inferiore a 1000-1500 per millimetro cubo (nei bambini invece la soglia minima è di 2500). Ma come si collega tutto questo ai test clinici effettuati su molti pazienti cinesi infettati al Covid-19?
CORONAVIRUS, LA LINFOCITOPENIA COME FATTORE PREDITTIVO DELLA GRAVITA’?
Come era emerso nelle scorse settimane, pare che al momento del ricovero la maggior parte dei pazienti denotasse una situazione di linfocitopenia, aspetto che ha destato la curiosità dei medici e portato i ricercatori ad effettuare ulteriori indagini per capire quale fosse il tipo di correlazione. ebbene secondo uno studio la linfopenia potrebbe predire il livello di gravità dell’infezione da Coronavirus: la ricerca firmata da un team di medici cinesi ha spiegato che sin dall’esplosione dell’epidemia nel noto focolaio di Wuhan sono stati rilevati differenti “indicatori” per stimare la gravità della malattia ma che ancora molti aspetti sono poco chiari e l’importanza di questo ambito di indagine riguarda il fatto che si potrebbe prevenire un sempre maggior numero di morti a breve-medio termine. “Low LYM% is a predictor of prognosis in COVID-19 patients” spiegano i ricercatori, indicando che il livello dei linfociti può essere predittivo pure in fase di prognosi: il numero di casi che confermano questa correlazione pare rilevante, confermata anche in un numero di pazienti selezionati in modo random e anche di differenti fasce di età.
LA RICERCA CINESE E L’IMPORTANZA DI QUESTA IPOTESI DI STUDIO
Non solo: il team di ricerca ha elaborato pure un modello temporale che incrocia l’evoluzione nel tempo della malattia e le percentuali di linfociti nel sangue. I pazienti che presentono livelli di LYM superiori al 20% sono classificati come “moderati” riescono a guarire in tempi relativamente brevi mentre se il livello è al di sotto di quel 20% i tempi di guarigione si allungano, laddove invece con LYM <5% il tasso di mortalità è mediamente più elevato e quasi sempre necessitano di ricovero in Terapia Intensiva. Come accennato, la parte ancora più interessante di questo studio è quella che riguarda la capacità di predire la gravità dell’infezione: la classificazione è importante soprattutto per capire quali sono le cure da proporre e soprattutto quando i sanitari sono in condizioni di emergenza e le risorse scarseggiano. L’ipotesi di studio cinese potrebbe dunque ottimizzare i tempi, evitando casi di sottovalutazione e altri in cui dei pazienti che sono destinati a guarire da soli vengono ricoverati per troppi giorni. Oltre a parametri già validati dalla comunità scientifica dunque anche il LYM% potrebbe essere presto usato come affidabile fattore predittivo per classificare un caso di Coronavirus come “moderate”, “severe” oppure “critical”. Ora non resta che attendere che l’ipotesi venga confermata da future analisi patologiche ma pare certo che il virus attacchi direttamente i linfociti riducendone il numero nel sangue e che una loro severa diminuzione sia una delle conseguenze dirette dell’azione del nuovo Coronavirus.