Le misure adottate dai governi dei Paesi europei investiti dal coronavirus riguardano il rafforzamento dei sistemi sanitari, il sostegno al reddito dei lavoratori, alle imprese, alle banche. Si tratta di misure tese a contenere le conseguenze del “morbo cinese” e a contrastare il rischio della depressione. C’è da sperare che le misure siano attuate il più rapidamente possibile e che gli ostacoli della burocrazia non ne attenuino l’efficacia. Forse la gravità della crisi, come scrive Padoan, potrebbe persino aprire la strada a una “riforma forzata” della pubblica amministrazione.
In questa situazione l’Unione Europea ha compiuto scelte che non vanno sottovalutate in questi giorni di difficile confronto con Bruxelles. Sono state sospese le regole fiscali e quelle relative ai debiti pubblici, allentate le norme sugli aiuti di Stato. Sono stati, in sostanza, rivisti parametri cardine dell’area euro. Tutte decisioni cruciali per affrontare le conseguenze economiche del morbo.
Sul fronte della politica monetaria è stata eliminata una limitazione che costringeva la Banca centrale europea a comprare nel suo intervento sui mercati dei titoli non più di un terzo di una emissione. Con gli oltre mille miliardi che la Banca ha mobilitato potranno essere acquistati titoli di un paese con pochi limiti. Per l’Italia si tratta di circa 200 miliardi con i quali la Banca centrale acquisterà titoli del debito italiano.
È stato Mario Draghi a fornire gli argomenti su cui si fondano le decisioni radicali della Bce. Siamo, scrive Draghi, di fronte a una tragedia di proporzioni bibliche. I governi si dovranno indebitare come durante le guerre per evitare danni irreversibili alle economie. La prospettiva aperta dalle parole di Draghi, dalle decisioni della Bce e dalla scelta di accantonare le regole sui deficit e sui debiti degli Stati membri dell’Eurozona permette un ampliamento delle disponibilità di risorse per il nostro paese. Occorre un impegno ferreo a utilizzare queste risorse per “riparare, costruire, provocare effetti duraturi e diffusi” nell’economia italiana. Per sostenere le fasce di popolazione più fragili ed esposte. Non per alimentare posizioni di rendita o consensi elettorali.
Occorre tuttavia qualcosa di più. Si sostiene che la situazione imponga di mettere in comune gli sforzi e i relativi debiti per fronteggiare la crisi. Alcuni paesi del Nord Europa non ci stanno. L’indisponibilità di questi paesi a misure di “mutualizzazione del rischio” è cosa nota. Da quando sono cresciuti i debiti pubblici di alcuni paesi si è prodotta una frattura tra Stati del Nord e del Sud. Frattura legata al cosiddetto rischio della condivisione del debito.
Un argomento forte andrebbe fatto valere in sede di Eurozona: tutti facciamo i conti con la minaccia del morbo cinese, che nessuno può illudersi di battere da solo, nessuno è immune. Occorre combattere insieme sia la crisi sanitaria sia quella economica.
Il confronto in sede europea va portato avanti tuttavia senza nervosismi. La battuta del presidente del Consiglio Conte, pronunciata reagendo alle chiusure di Olanda e Germania, “altrimenti facciamo da soli”, va considerata solo una battuta. Da soli con le sfide da fronteggiare non si va lontano.
Torniamo, quindi, al merito del contenzioso con i paesi del Nord Europa guidati da Germania e Olanda. Si tratta di lavorare per trovare soluzioni comuni che evitino la mutualizzazione dei debiti nazionali, ma mettano comunque in campo strumenti finanziari europei che allarghino il potenziale delle risorse per rimettere in piedi le economie compromesse dall’epidemia. Andrebbe tenuto presente che i Paesi del Nord Europa hanno già accettato forme di eurobond: tali sono infatti le emissioni della Bei per il piano Invest Eu e le emissioni del Mes.
Il governo italiano nel confronto a Bruxelles dovrebbe mantenere la posizione già espressa da Conte di poter ricorrere al Mes senza condizionalità di alcun tipo. Sarebbe imperdonabile se Conte avesse ritirato quella posizione per l’atteggiamento pregiudizialmente ostile al Mes dei grillini. Insomma, occorre tenacia e sangue freddo nel negoziato evitando le invettive contro l’Unione Europea cui si abbandona Salvini, ma anche scettici proclami sulla fine dell’Unione. Da soli, ripeto, non si va lontano.