Tasse da pagare, fatturato dimezzato, un dipendente su quattro in cassa integrazione, liquidità zero, porte chiuse dalle banche. “Siamo sotto una ghigliottina”: sintetizza così gli effetti dell’emergenza coronavirus, che sta bloccando l’intero paese e l’economia, Emilio Innocenzi, presidente di Team Service, cooperativa che opera a livello nazionale nel campo della sanificazione, una settantina di milioni di fatturato e un migliaio di piccoli e grandi clienti. Ma Innocenzi non si arrende e lancia un appello accorato al governo: “Non si può vivere di solo assistenzialismo, bisogna rilanciare la ripresa, il lavoro. Adesso. Lavoro da 40 anni nel campo della cooperazione, che è un patrimonio dell’Italia, fatto di creatività, capacità di adattamento e intraprendenza: che ci lasciassero questa capacità di creare, di lavorare. Bisogna dare liquidità agli imprenditori per investirli in sviluppo, crescita, occupazione”.
La situazione è così grave?
Noi svolgiamo servizi necessari, come appunto, le pulizie. Negli ospedali registriamo una forte flessione sulle prestazioni. In più dobbiamo fare i conti con il problema dei dispositivi di protezione individuali. Finora abbiamo dovuto arrangiarci da soli, da questa settimana possiamo appoggiarci alla Protezione civile. Ma facciamo molta fatica. E senza le protezioni è impossibile poter lavorare.
Oltre agli ospedali, voi operate anche con le strutture pubbliche. Anche qui servizi tagliati?
Il settore del pubblico, ospedali compresi, contribuisce al nostro fatturato per l’80%. Ma oggi ministeri, Comuni, scuole, università, edifici pubblici stanno riducendo sempre più i capitolati giornalieri con conseguente calo delle fatturazioni.
E nel privato?
Hanno chiuso gli stabilimenti, hanno chiuso le attività. Completamente. Solo quando riapriranno, potremo fare una pulizia di fondo. Al momento nessuna sanificazione.
L’impatto sulla vostra forza lavoro è stato pesante?
Abbiamo 3.800 dipendenti diretti più altri 1.500 nell’indotto. E oggi, a un mese e mezzo dall’inizio dell’epidemia, la forza lavoro si è ridotta del 25%. Dipendenti messi in cassa integrazione.
Quindi siete con l’acqua alla gola?
Noi stiamo incassando meno della metà di quanto fatturiamo normalmente. A marzo abbiamo provveduto con fatica a pagare gli stipendi e a rispettare le scadenze fiscali e contributive. Abbiamo pagato di tasse 1,8 milioni.
Quanto potete resistere ancora?
Se entro il 15 aprile io non pago le scadenze fiscali, lo Stato mi fa chiudere, perché il Durc mi diventa rosso e nessuna amministrazione mi potrà pagare. Siamo sotto una ghigliottina. E’ assurdo. E poi ci sono tutti gli stipendi dei dipendenti. Per restare a galla, sarò costretto a non pagarli questo mese? Alla fine di aprile chi soffrirà saranno le grandi aziende, perché la liquidità non gira.
Ma per cercare di ovviare a queste difficoltà il governo ha varato il decreto Cura Italia. C’erano misure utili per il settore delle pulizie?
Zero. Proteggeva, e giustamente, le attività nella ristorazione e nel turismo con giro d’affari fino a 2 milioni.
E allora cosa chiedete?
Due interventi. Il primo: il pagamento di tutti i crediti verso la pubblica amministrazione. Parliamo nel nostro caso di 12 milioni di euro. Il secondo: visto che in questo momento dalle banche non stiamo prendendo un euro, occorre consentire in via temporanea alla Cassa depositi e prestiti di offrire alle banche garanzie pari all’80% sui prestiti da erogare direttamente alle imprese, così da poter pagare le tasse. Sono soldi che poi torneranno allo Stato. In un momento in cui la stessa Ue dice che si può sforare il tetto del 3% di deficit, facciamo una sorta di “piano Marshall”. Con soldi veri.
L’obiettivo?
Garantire la liquidità necessaria per investire sulla ripartenza dell’Italia, per non compromettere il futuro produttivo e del lavoro. E’ giusto aiutare le piccole imprese e con il reddito di cittadinanza chi è in difficoltà, ma non si può vivere solo con uno Stato assistenzialista. Oggi la tutela del lavoro è il nodo cruciale.
Giusto, ma bisogna anche garantire la massima sicurezza a chi lavora, non crede?
Certo. Oggi è il tempo del dolore, ma anche della ripresa. Le cito un esempio: un nostro cliente che produce maioliche ha un capannone di 50mila metri quadri in cui lavorano 100 persone. Ciascuno potrebbe avere a disposizione 500 metri. Ebbene, ha chiuso, perché sono tutti terrorizzati dal coronavirus. Dobbiamo uscire da questa depressione. Dobbiamo assolutamente ricominciare dal lavoro, dobbiamo sostenere la ripresa attraverso il lavoro. Le occasioni non mancano: in Italia abbiamo delle eccellenze, siamo i protagonisti per il vino, la moda, il turismo, la logistica. Ripartiamo da lì. Lo Stato deve garantirci la liquidità e lasciarci lavorare.
Altrimenti?
Se non moriremo di coronavirus, moriremo di fame.
(Marco Biscella)