Siamo sommersi in questi giorni da una pioggia di record che stanno a testimoniare l’assoluta emergenza della congiuntura che costringe alla clausura almeno quattro miliardi di persone, più o meno la metà della razza umana. I dati dell’economia, in questa cornice, sono destinati a far invecchiare precocemente le statistiche e le precedenti edizioni del Guinness dei primati: si moltiplicano, ahimè al ribasso, i record storici dei mercati e dell’economia reale, a partire dalle 6,6 milioni di richieste di sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti.
In questo quadro eccezionale merita rilevare tra i numeri di oggi due primati “tecnici” comunque utili a capire la situazione: le dimensioni raggiunte dal bilancio della Federal Reserve, che ammonta a 5.860 trilioni di dollari, nuovo record assoluto che dimostra lo sforzo della banca centrale di rispondere alla sete di dollari che emerge dall’economia mondiale; la discesa da primato dei rendimenti dei titoli del Tesoro Usa, sotto la spinta della richiesta di un “porto sicuro” da parte dei mercati. Sono due segnali che confermano la scelta delle autorità Usa (così come della Bce) di affrontare l’epidemia con una pioggia di denari che ha limitato, per quanto possibile i danni. Oltre a confermare che l’inflazione, di questi tempi, non è un problema. Ma i risultati raggiunti stanno anche a dimostrare che la risposta monetaria da sola non è sufficiente a sostenere la tenuta del sistema nemmeno per i prossimi mesi, nell’attesa che la scienza trovi una risposta alla pandemia. Al di là dei numeri, infatti, si moltiplicano i segnali di stress che minacciano la sostenibilità del sistema.
Le pensioni, ad esempio, sono sotto stress un po’ ovunque. Non solo in Italia, nota per la fragilità del bilancio statale, ma anche in Usa, ove colossi come Marriott, hanno sospeso i contributi che pagano ai fondi pensione dei loro dipendenti. Lo stesso vale per i titoli del debito: l’altro giorno la Spagna, finora assai più solida sui mercati dell’Italia, ha avuto difficoltà a collocare l’ultima tranche dei Bonos. Aleggia su Madrid, ma assai di più su Roma, la minaccia del voto delle agenzie di rating: di fronte a un rapporto debito/Pil che nel caso italiano viaggia verso il 150%, è più che concreto il rischio di un declassamento che, per i Btp, comporta lo scivolamento nell’area dei titoli non investment grade che non possono, per statuto, finire nel patrimonio di fondi o di altre istituzioni. Alle scadenze che incombono l’Europa ha risposto con una pioggia di quattrini: circa mille miliardi erogati dalla Bce e dagli Stati, buoni a fronteggiare il presente, ma solo con cambiali che scadranno presto, se non saremo in grado di fornire le opportune garanzie.
È questo il quadro alla vigilia del vertice europeo di oggi. Inutile illudersi che in tale occasione possa emergere il sì agli eurobond, che tra l’altro richiedono interventi sulla Costituzione tedesca. Facile, però che l’emergenza faciliti un accordo tra Germania e Francia che preveda l’attivazione del fondo Mes e della Bei per sostenere le spese sanitarie e di protezione del mercato del lavoro. Più improbabile che possa essere messa in opera qualsiasi previsione di lancio di obbligazioni a livello europeo come chiesto da Italia e Spagna. Si profila, nella formulazione che circola a Bruxelles, l’ennesimo prestito che dovrà essere restituito senza sconti piuttosto che un gesto di solidarietà tra partner.
Insomma, la situazione eccezionale sta facendo emergere un po’ ovunque patologie nuove che affondano spesso le radici nei guai di ieri, cui sarebbe utile opporre terapie radicali che non siamo pronti a sostenere. E così la via Crucis è destinata a ripetersi. Il premio Nobel Jean Tirole ha illustrato le quattro possibili ricette per estirpare il morbo del debito eccessivo: il giubileo, cioè il ripudio delle obbligazioni, la monetizzazione via emissione di nuova carta, nuove imposte (vedi patrimoniale) o, infine, la mutualizzazione del debito tramite la solidarietà. Quattro proposte che indicano quattro possibili percorsi che continueranno a incombere sui destini d’Europa. A meno che l’epidemia non tronchi discussioni ipocrite.