Giovani, anziani, cristiani e musulmani. Il coronavirus non guarda in faccia nessuno e paradossalmente ci rende tutti uguali, tutti fragili, tutti, come ha detto papa Francesco, “sulla stessa barca”. E’ il pensiero che accomuna anche Asfa Mahmoud, presidente della Casa della cultura islamica di Milano, con relativa moschea, una delle più frequentate e attiva nel cercare di costruire un punto di apertura e condivisione fra islamici e residenti. “Anche noi abbiamo avuto tanti morti” ci ha detto in questa intervista “anche diversi medici tra cui un dottore di origine giordana che lavorava all’ospedale di Brescia. Questo virus non guarda in faccia nessuno”. Come i cristiani che hanno dovuto rinunciare a frequentare le chiese, anche gli islamici hanno dovuto chiudere la loro moschea: “La gente ha capito che la salute in questo momento è la cosa più importante, abbiamo invitato tutti ogni venerdì a dire la preghiera nelle proprie case, preghiamo per i nostri fratelli cristiani e per tutta l’Italia. Che Dio ci conceda in questa Pasqua la fine di questo nemico invisibile e ci renda tutti persone migliori”.
Anche per la comunità islamica è scattato l’isolamento nelle case, come vivete questo obbligo?
Alcuni nostri giovani si sono attivati immediatamente istituendo dei numeri telefonici a cui le persone più anziane, più sole, con problemi fisici e economici possono chiamare. I nostri giovani fanno volontariato e si occupano di loro facendo la spesa o monitorando le loro condizioni. Non solo a Milano, ma anche a Saronno, in Emilia-Romagna e in Piemonte.
Immagino che anche nella vostra comunità ci siano state persone contagiate, è così?
Purtroppo sì, in Italia si contano oltre cento morti di fede islamica. Anche dei medici, ad esempio un medico giordano che lavorava all’ospedale di Brescia è stato colpito dal virus ed è morto. Questo virus non conosce barriere non guarda in faccia nessuno, anziani, medici giovani. C’è stato purtroppo anche un giovane di 32 anni a Piacenza che non aveva nessun problema fisico ma purtroppo è morto anche lui per colpa del virus.
Come cristiani viviamo una prova molto dura non potendo andare in chiesa neanche il giorno di Pasqua. E’ lo stesso anche per voi, la moschea è stata chiusa?
Sì, tutto chiuso. Il primo venerdì è stato molto difficile, la preghiera del venerdì per noi è come la messa della domenica dei fratelli cristiani. Il 24 febbraio, era un giovedì, sono andato davanti al cancello della moschea a chiuderlo e a mettere il cartello che spiegava che non si poteva più entrare. Si è radunata molta gente, ho spiegato che era un decreto del governo a cui bisognava obbedire perché la salute adesso era diventata la cosa più importante. Per fortuna hanno capito e sono tornati a casa. Abbiamo preparato delle preghiere apposite e le abbiamo distribuite ai capifamiglia, in modo che ogni venerdì in ogni casa le famiglie si riuniscano a pregare con il capofamiglia che prende il ruolo dell’imam guidandoli nella preghiera. Preghiamo che Dio protegga tutta l’Italia.
E’ Pasqua, per noi cristiani la resurrezione di Dio, ma preghiamo che sia anche la resurrezione del nostro paese, di tutto il mondo. Che pensiero ci può dire a proposito di questa celebrazione?
Aspettavamo con ansia che la vigilia di Pasqua fosse il momento di ritorno alla normalità ma purtroppo l’isolamento è stato prolungato. Ci dispiace tanto che i cristiani non possano andare in chiesa. Nelle feste di Pasqua di solito mandiamo gli auguri ai nostri fratelli cristiani, alcuni di noi vanno a messa nella chiesa di San Giovanni Crisostomo a portare gli auguri al parroco e ai fedeli. Ci dispiace che quest’anno non possiamo farlo però auguriamo ai nostri fratelli cristiani una Pasqua di fede anche stando a casa, di vivere questa festa con le proprie famiglie. Spero che questo virus vada via, ci sentiamo molto vicini nella preghiera e chiediamo a Dio che in questo momento ci faccia riflettere e stare insieme, aumentare le nostre buone azioni e che questo nemico invisibile ci renda tutti migliori.
(Paolo Vites)