Ieri mattina, alle 4.30 italiane, il cardinale George Pell è stato prosciolto, all’unanimità da sette giudici, dall’accusa di pedofilia. Era rinchiuso a Barwon, località dove si trova il carcere di massima sicurezza, in seguito alla sentenza emessa a dicembre del 2018 che lo riconosceva colpevole di molestie sessuali nei confronti di chierichetti nella cattedrale di Melbourne 20 anni fa, accuse rispetto alle quali si è sempre dichiarato innocente.
Il mondo cattolico, quello che chiuso in casa per via del coronavirus si alza la mattina alle 7.00 per seguire la Messa del Papa da Santa Marta, in pratica aveva appreso la notizia–bomba dalle labbra di Bergoglio. Il Vescovo di Roma infatti, quando all’inizio della Messa esplicita le intenzioni per cui celebra, aveva pronunciato una frase che i più attenti avevano subito messo in relazione con il caso del porporato. Bergoglio infatti aveva invitato a pregare per quanti erano rimasti vittime di sentenze ingiuste motivate dall’accanimento. “In questi giorni di Quaresima – aveva detto – abbiamo visto come i dottori della legge si siano accaniti contro Gesù, come lo abbiano giudicato con accanimento. Chiedo di pregare per tutte le persone che soffrono una sentenza ingiusta per accanimento”.
Gerge Pell, che ha 78 anni, era stato per anni uno dei più stretti collaboratori del Papa, che lo aveva messo a capo della Segreteria per l’Economia del Vaticano: fino al dicembre di due anni fa, Papa Francesco gli aveva affidato il compito di una gestione più limpida delle risorse finanziarie della Chiesa. Stava scontando, da 404 giorni, una condanna a sei anni per pedofilia. E ora la giustizia australiana ha riconosciuto che sono stati 404 giorni di ingiusta detenzione. Il proscioglimento è stato preso all’unanimità perché, così si legge nel dispositivo, esiste una “significativa possibilità che una persona innocente sia stata riconosciuta colpevole perché le prove fornite non soddisfacevano sufficienti prerequisiti di attendibilità”.
Pell, in una nota, ha ribadito di aver subito una “grave ingiustizia”, affermando di non portare rancore verso il suo accusatore visto che c’è già abbastanza “dolore ed amarezza”. “L’unica base per una guarigione duratura – aveva concluso – è la verità e l’unica base per la giustizia è la verità, perché la giustizia significa verità per tutti”.
Il caso Pell ci dimostra quanto sia gravoso portare la croce di una falsa accusa: per questo il Papa lo paragonava alla condanna iniqua di Gesù.
Anche se il porporato ieri aveva affermato che il suo processo “non era né un referendum sulla Chiesa cattolica, né un referendum su come le autorità della Chiesa in Australia affrontavano i casi di pedofilia” è evidente come in questo caso il male non sia solo verso una singola persona ma verso tutto il corpo della Chiesa i cui membri, se a volte si macchiano di colpe inenarrabili, in altri casi sono vittime di crudeli pregiudizi e di verdetti sommari. Pell, nelle sue dichiarazioni ufficiali, non ha parlato solamente di perdono in modo generico, di porgere l’altra guancia, ma della verità come strumento di cura e di conversione per tuti.
Mi sono spesso battuto perché la parola pedofilia sia esplicitamente inserita nel Catechismo: con la stessa forza mi batto perché la Chiesa sana, i sacerdoti sani, siamo preservati da quella che a volte può diventare una persecuzione. Spero che il martirio di Pell serva a capire che la Chiesa è una realtà composita, dove ci sono fragilità ma anche eroismi, dove ci sono situazioni di comodo, ma anche esempi di fulgida santità.
Dentro la Chiesa, lo vediamo in queste ore di Settimana Santa, c’è Giuda che tradisce ma c’è anche Giovanni che segue Gesù fin sotto la Croce. E poi c’è Pietro che tradisce ma che chiede anche perdono. E soprattuto c’è Gesù che dona sé stesso sulla croce per donare a noi la salvezza.
In nome suo, molti uomini e molte donne si sono consacrati – come il cardinale Pell – per farsi dono a tutti gli uomini, a tutte le donne. Per portare Gesù – non dimentichiamocelo in questo tempo in cui gli abbracci sono proibiti – occorrono non solo le parole, ma anche l’affetto del calore umano, dell’abbraccio. Se si ha paura di questo – di quell’abbraccio che è sempre stato lecito e puro per la Chiesa come per l’uomo sereno e risolto – si ha paura di Gesù incarnato. Bisogna perseguire con il massimo rigore chi tradisce la propria missione, proprio perché tradisce l’Incarnazione: ma al tempo stesso bisogna difendere il fatto che un prete – come Pell – che dà una carezza sul capo, che dà un abbraccio, che tende una mano, altri non è che Cristo. Che con la propria presenza reale guarisce, converte, sta vicino. Sta in mezzo.